Archivi tag: Virginia Woolf

UN LIBRO IMPERDIBILE: MILKMAN DI ANNA BURNS

Il 20 settembre è arrivato nelle nostre librerie (grazie a Keller Editore) un romanzo da capogiro. Milkman è il vincitore del Man Booker Prize 2018, uno dei più prestigiosi riconoscimenti letterari a livello mondiale. Anna Burns è la prima scrittrice irlandese ad aggiudicarselo.

In un mondo editoriale sempre più conformista è raro trovarsi di fronte ad un romanzo del genere, giustamente premiato per la sua unicità e il coraggio della sua autrice. 

Cosa lo rende così speciale? Tanto per cominciare i protagonisti e l’ambientazione di questo romanzo non hanno nomi. Dagli accadimenti descritti intuiamo che potremmo trovarci nella Belfast degli anni 70 in pieno conflitto nordirlandese. 

La protagonista di questo peculiare stream of consciousness è una ragazza di 18 anni. Di lei sappiamo che ama i libri: Charles Dickens, Laurence Sterne e Gustave Flaubert vengono citati a più riprese. Li legge mentre cammina e, anche solo per questo motivo, è guardata con diffidenza dalla piccola comunità della cittadina da cui proviene. 

Si rincorre la voce che potrebbe avere una relazione con un uomo più grande, il Milkman del titolo, un uomo ambiguo e pericoloso che in realtà la corteggia fino a molestarla, la confonde e la spaventa. E potrebbe allontanare il suo “forse fidanzato”, a cui lei sembra affezionata pur non avendo gli strumenti per dimostrarlo. 

Di più di questo romanzo sconvolgente, complesso e straordinariamente divertente non voglio raccontarvi. Ma per gli amanti della letteratura, in particolare di William Faulkner, Virginia Woolf e James Joyce, correre in libreria ad acquistarlo è un dovere. 

Non tutti i critici sono stati generosi con Anna Burns. Subito dopo la vittoria del Booker Prize ho letto recensioni volte a sottolineare l’estrema complessità di questo libro, che avrebbe scoraggiato persino ai lettori più audaci. I più accaniti si sono perfino addentrati in una polemica sulle condizioni economiche dell’autrice che, durante la scrittura del romanzo, si sarebbe avvalsa dell’aiuto dei servizi sociali. E ovviamente non è stato facile neanche trovare un editore. Ma lo sapete, per noi donne è sempre tutto più difficile. 

Io l’ho letto in lingua originale e dal mio punto di vista questo libro è un trionfo.  In una società in cui il valore del lavoro artistico è ridotto ai minimi termini ritengo una vera conquista che Anna Burns abbia ricevuto un sostegno dallo Stato. 

Il risultato non è solo considerevole ma rivoluzionario. Milkman è un romanzo che non ha eguali, con una voce unica, estremamente attuale, capace di evocare i disagi e le tensioni che caratterizzano la società contemporanea, dalle costrizioni sociali al terrorismo, dalle molestie sessuali a quei contrasti ancestrali che non c’è modo di risolvere. 

Ma non è il conflitto politico ad interessare maggiore l’autrice, volta piuttosto a prendere di mira l’oppressione dovuta al patriarcato, al conformismo, alla religione e al sessismo tossico. Il risultato è una vita votata alla sfiducia e alla paura. Nonostante lo stile quasi surreale della Burns in questo libro tutto ha il sapore famigliare della realtà. 

La giovane protagonista di Milkman merita la nostra attenzione, come molti di noi vorrebbe evadere dal presente al quale tenta di sopravvivere con tutte le sue forze. Buona lettura a tutti!

Gemma Arterton: «Fuga per la libertà»

«Ha un aspetto incantevole». «Merito dello yoga, ma questa non sono io. Gli abiti eleganti e i tacchi alti sono un’uniforme che indosso solo in occasioni di lavoro». Gemma Arterton, 32 anni, è una donna che rifugge le imposizioni, i cliché. Sarà per questo che a Hollywood, dove ha esordito come Bond Girl (in Quantum of Solace) e proseguito con Prince of Persia, non ha avuto vita facile. I produttori volevano cambiarla, si accanivano sul suo aspetto. Volevano trasformarla. L’abbronzatura, l’extension, l’alimentazione, il peso. Tutto di lei costituiva un problema. Le avevano imposto un personal trainer che la seguisse ininterrottamente. «Sono arrivati a scattarmi una foto in palestra per dimostrare che stavo dimagrendo». Si è più volte sfogata con la stampa l’attrice britannica che ha definitivamente cambiato strada optando per il cinema d’autore, inglese e francese. Presto vestirà i panni di Marilyn Monroe in It’s Me, Sugar, speciale televisivo dedicato al making of di A Qualcuno Piace Caldo. Prima ancora la vedremo protagonista di The Escape (in sala dal 14 giugno) in cui interpreta Tara, una donna che si sente ostaggio del suo nucleo famigliare. Il male oscuro ne divora giorno dopo giorno desideri e vitalità fino a farle abbandonare marito e figli.

Il film affronta il tema della depressione. Che cosa l’ha spinta ad interpretare Tara?

«Noi donne siamo più abituate a tacere sul nostro malessere, lo reputiamo un fallimento e ce ne vergogniamo. Viviamo in una società che considera ancora normale che un uomo abbandoni la propria famiglia. Se a farlo è una donna allora è immediatamente giudicata una cattiva persona. Mi auguro che film come questo aiutino a combattere il pregiudizio».

Parla per esperienza diretta?

«Non ho mai sofferto di depressione ma è un argomento che la mia famiglia conosce bene. Mia nonna Helen (morta suicida nel 2010, n.d.r.) ha sofferto a lungo di un disturbo bipolare, la vita domestica la soffocava, ha rinunciato alle proprie ambizioni per crescere i suoi cinque figli. Durante le riprese del film mia madre mi ripeteva che stavo raccontando la sua vita ma io credo che quella di Tara sia una storia universale».

Non se ne sono viste molte sul grande schermo di recente.

«La depressione è ancora un tabù, nella vita come al cinema. Paradossalmente in passato certi temi venivano trattati con più coraggio. Una moglie di John Cassavetes, per esempio, è stato un punto di riferimento imprescindibile per questo film.

Qual è stata la sfida più grande?

«Gestire i giovani attori che nel film interpretano i figli di Tara. Tutti sanno che adoro i bambini ma in questo caso non riuscivano proprio a capire cosa stesse succedendo intorno a loro. Diventavano sempre più insopportabili. Tengo a bada il mio desiderio di maternità fin dalla tenera età quando subissavo mia sorella di attenzioni ma questo è un film che ti induce a quesiti spaventosi. I miei figli mi ameranno? E se sarò io a non amarli? Cosa potrebbe accadere? Non c’è nulla di scontato nella maternità».

The Escape

Attrice protagonista ma anche produttrice. È un momento importante della sua carriera.

«Sicuramente. Il film è quasi totalmente improvvisato. Il regista Dominic Savage ha scritto il soggetto e le scene ma siamo stati io e Dominic Cooper (la sua co-star, n.d.r.) a ideare i dialoghi. Da un punto di vista creativo la considero l’esperienza più significativa della mia carriera. Un lavoro di gruppo veramente stimolante».

È sempre stata piuttosto critica in merito al trattamento che le attrici ricevono a Hollywood. Si è mai sentita danneggiata?

«Tutt’altro. Quelle discriminazioni hanno influenzato sia la mia vita professionale che quella privata. Ne sono grata perché hanno forgiato la mia personalità. Dinanzi a determinate pressioni ho capito che non ero quello il lavoro a cui ambivo. I film che sto scegliendo oggi sono una risposta, una reazione, alle umiliazioni subite. Opere che mi danno l’opportunità di essere libera e di sprigionare la mia creatività. L’arte dovrebbe essere un incentivo alla diversità non al conformismo».

Quattro film francesi nel suo CV. A Hollywood ha preferito la Francia.

«Mi sono innamorata del cinema guardando gli attori francesi. Io sono nata a Gravesend (nella contea del Kent), a due passi dalla stazione da dove era possibile prendere un treno per Parigi. Da casa mia intravedevo una finestra sul mondo. Ho imparato il francese per recitare in Gemma Bovery di Anne Fontaine e questo mi ha aperto molte porte».

Prima di interpretare Marilyn Monroe la attende un film su Virginia Woolf. In cosa sarà diverso dai precedenti?

«Vita&Virginia mostra gli anni più gioiosi della vita di Virginia Woolf. Di lei spesso ci si limita a raccontare il talento letterario e il suicidio ma fu molto altro. Io interpreto Vita Sackville-West, la scrittrice che le diede l’ispirazione per Orlando. Sono felice che il film si concentri sulla storia di una donna al picco della sua creatività».

Lei si è sposata molto giovane (nel 2010 con l’imprenditore italiano Stefano Catelli, n.d.r.), per poi separarsi due anni dopo. Lo considera un errore di gioventù?

«No, anzi è stato un momento molto felice della mia vita. Non avevo mai creduto all’importanza del matrimonio fino ad allora e non so se lo reputo ancora fondamentale. Le storie d’amore iniziano e finiscono, fa parte della vita, bisogna accettarlo, ma rimango convinta che ognuno di noi abbia la propria anima gemella».

Wikipedia riporta una sua dichiarazione secondo la quale non si risposerà e non avrà figli finché non vincerà un premio Oscar. Come l’ha presa il suo fidanzato (l’attore irlandese Rory Keenan, n.d.r)?

«Giuro di non averlo mai detto. Ho già accettato il fatto che potrei non vincere mai un premio Oscar, non so se sono pronta a risposarmi ma essere mamma è un sogno al quale non riesco proprio a rinunciare».

Originariamente pubblicato su Vanity Fair Italia