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Perché Mozart in the Jungle ha vinto ai Golden Globes

Tra le tante sorprese riservate dai Golden Globe 2016 figura il doppio premio a Mozart in the jungle, la serie tv targata Amazon con la star messicana Gael Garcia Bernal che vi invoglierà a scoprire il fascino della musica classica.

Lo show in questione è tratto dal memoir Sex, Drugs & Classical Music dell’oboista americana Blair Tindall e segue le vicende quotidiane della fantomatica New York symphony orchestra guidata dell’eccentrico Maestro sudamericano Rodrigo De Souza.

Nella prima stagione (andata in onda su Sky Atlantic) i membri dell’orchestra avevano dovuto adattarsi al nuovo Maestro, che oltre ad esibire le sue stranezze aveva trovato il tempo per infatuarsi della sua assistente nonché talentuosa oboista Hailey Rutledge (nonostante lui si ostini a chiamarla Hailai).

Tra le trovate più divertenti segnaliamo il rapporto di amore/odio di Rodrigo con l’ex moglie Ana Maria, una violinista eccellente ma talmente folle da ricordare la focosa Penelope Cruz in Vicky Cristina Barcelona di Woody Allen.

Alla sua seconda stagione, disponibile in streaming su Amazon Prime dal 30 dicembre, Mozart in the Jungle ha ampliato il proprio raggio di azione mettendo in evidenza l’evoluzione di Hailey, desiderosa di rendersi indipendente da Rodrigo, sempre più paranoico, e i problemi finanziari che affronterà l’orchestra alle prese con uno sciopero per rivendicare i propri diritti.

Molti telespettatori sono però rimasti interdetti di fronte all’assegnazione di questo Golden Globe, chiedendosi come una serie tv apparentemente così innocua abbia potuto insidiare un piccolo cult come Transparent, super acclamato dalla critica. Mozart in the jungle gli ha soffiato sia il premio per la miglior comedy che quello per il miglior attore protagonista

Ebbene, nonostante Jeffrey Tambor abbia sfoggiato anche quest’anno un’ interpretazione impeccabile del transessuale Maura, Rodrigo De Souza alias Gael Garcia Bernal è un vero trascinatore, diverte con disincanto sfruttando abilmente le sue inflessioni linguistiche e giocando con tutti gli stereotipi del Latin lover.

Al suo talento si aggiunge quello di Lola Kirke, giovane stella del cinema indie made in USA, che quest’anno abbiamo visto brillare in Mistress America di Noah Baumbach al fianco della ben più scafata Greta Gerwig. In Mozart in the Jungle la Kirke è un valore aggiunto: la sua Hailey, dalla bellezza mozzafiato, è tanto angelica e accondiscende quanto spesso spietata e incurante dei sentimenti altrui. 

A gestire Gael & Co., in veste di registi e produttori, ci pensa gente del calibro di Paul Weitz (il regista di About a Boy), Roman Coppola e Jason Schwartzman (attore feticcio di Wes Anderson). Questo team rende Mozart in the Jungle una serie da non perdere, perfetta per il binge-watching con i suoi soli dieci episodi da trenta minuti animati da una vivacità esibita con una grazia fuori dal comune.

Ma la vittoria del Golden Globe ha un significato ben preciso, e non solo da un punto di vista artistico. Transparent nasce con lo scopo preciso di dare voce ad alcune minoranze in tv, analizzando il disagio esistenziale di un’annoiata famiglia borghese, quasi totalmente devota all’arte di oziare. La seconda stagione è un affresco umano toccante e a tratti poetico che rischia però di rimanere ingabbiato in un territorio di nicchia a causa dei propri presupposti.

Al contrario, Mozart in the Jungle non ha messaggi subliminali, è un puro divertissement che vive la trasgressione con naturalezza. I musicisti protagonisti si confrontano con il proprio ego spropositato, la rivalità e la solitudine ma reagiscono alla frustrazione con uno studio estenuante. Vivono per diventare i migliori, anche quando l’età avanza. Ecco perché il Golden Globe, in questo caso, va a premiare uno straordinario inno alla libertà di azione creativa, all’anticonformismo e perché no, una volta tanto, anche all’impegno.

Pubblicato originariamente su Wired Italia