Buongiorno,
scusate l’assenza di ieri ma chi mi conosce sa che, nonostante mi piaccia programmare minuziosamente le mie giornate, spesso vengo incoronata “regina dell’imprevisto”. Breve storia triste: lunedì mi precipito al cinema per godermi i primi due episodi de L’amica geniale al cinema e sul finire devo precipitarmi in ospedale per una colica renale.
Comincio con il raccontarvi che ho letto la tetralogia di Elena Ferrante in un momento personale molto delicato. Aggiungo che non è stata una lettura individuale ma condivisa con la persona che amo. I libri della misteriosa scrittrice ci hanno catapultato in un mondo pieno di umanità. Leggendoli abbiamo sorriso, pianto, sofferto. Ci siamo affezionati a Lila e Lenù, abbiamo tifato per loro, sperando fino all’ultimo che fossero destinate ad un futuro radioso. Non riesco a pensare a due personaggi letterari (e non) che di recente abbiano sortito lo stesso effetto. Le porto nel cuore.
La Napoli in cui nascono e crescono la conoscevo solo in parte. Non so se sia la stessa che abbia dato i natali alla Ferrante, ma dinanzi alle sue vivide e precise descrizioni, alla credibilità delle emozioni che è in grado di trasmettere, ho sempre pensato di sì. Il successo dei suoi libri in Italia non è neanche lontanamente paragonabile alla risonanza che hanno avuto a livello internazionale, in particolare in America (The Neapolitan Novels, le hanno soprannominate). Tra i suoi fan più accaniti Michelle Obama, Hillary Clinton, il premio Pulitzer Elizabeth Strout (di cui vi consiglio i bellissimi Olive Kitteridge e Il mio nome è Lucy Barton), lo scrittore Jonathan Franzen e perfino Rory Gilmore (cosa per me fondamentale!).
Pur riconoscendo l’universalità della storia mi sono chiesta più volte come un lettore americano potesse immergersi nella lettura delle disavventure di Lila e Lenù con la mia stessa passione. Mi sono risposta che non è solo una questione di periferie e di immedesimazione. L’arte non è mai provinciale, ecco perché i capolavori del cinema neorealista hanno cambiato per sempre la storia della Settima Arte. L’amica geniale è semplicemente un capolavoro. Invito chiunque, fervidi lettori e pigri perdigiorno, a tuffarsi in questo mondo incantato.
Com’è la serie di Saverio Costanzo? Del tutto trascurabile. Ho profondamente amato la sua trasposizione cinematografica de La solitudine dei numeri primi (pur non avendo apprezzato particolarmente il libro di Paolo Giordano) e ho perso la testa per Hungry Hearts. Mi sono divertita guardando la sua versione di In Treatment. Ma i romanzi di Elena Ferrante non hanno nulla a che vedere con lo sceneggiato incolore e didascalico di cui ho visto le prime puntate al cinema Ariston di Gaeta. Oggi è l’ultimo giorno di proiezioni (l’elenco delle sale lo trovate a questo link). Poi dovrete attendere il passaggio televisivo su Rai1 a partire dal 6 novembre. Per chi non l’avesse ancora fatto vi esorto a correre in libreria, non perdete questa occasione di rinascita.
MA VENIAMO ALLE NOTE DOLENTI. Come vi accennavo prima, mentre osservavo il lavoro di Costanzo con una certa perplessità ho dovuto cedere ai miei dolori addominali e filare al Pronto Soccorso di Formia (Latina). Lì si è aperta una nuova fase della mia serata e della mia riflessione. Sarebbe superfluo dire che odio gli ospedali (c’è forse qualcuno che li ama?) ma quello a cui assisto ogni volta che mi trovo a dover chiedere aiuto in una struttura del centro e del Sud Italia torno a casa più avvilita per il trattamento ricevuto che non per i malanni che mi affliggono. Ho da poco festeggiato 27 anni ma mentre osservavo i due anziani che urlavano dal dolore e defecavano dopo ore di attesa su una barella sulla quale si preparavano evidentemente a trascorrere l’intera nottata ho lasciato l’ospedale (all’1 passata) con un solo pensiero: “Non voglio morire così!”.
Il Meridione d’Italia che riesce a generare l’inimitabile bellezza della scrittura di Elena Ferrante è lo stesso in cui nel 2018 spesso si muore senza la possibilità di salvaguardare la propria dignità. In cui per ricevere delle cure, se non si ha la possibilità di rivolgersi altrove, ci si rassegna ad essere trattati come carne da macello. Lila e Lenù scalpitano per scoprire il mondo fuori dal Rione, ci ripenso mentre progetto anche io di costruirmi una vita lontana da qui, per non dover un giorno finire come quei due vecchietti, affidati alla sola pazienza dei loro famigliari che chissà quanti pugni dovranno sbattere sul tavolo per far valere i loro diritti, fino all’ultimo respiro.
Inaccettabile in qualsiasi Paese civile, persino il nostro che di certo non merita questa definizione. IO NON CI STO, io non voglio arrendermi, non fatelo neanche voi. Leggete, progettate, ribellatevi.