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fortuna era solo una bambina

Ieri pomeriggio sono tornata al cinema. Frosinone, ore 18:10. I gestori sembravano quasi sorpresi di veder arrivare qualche spettatore, per darvi l’idea della desolazione che si percepisce. Mi auguro che in tante altre città d’Italia la situazione sia diversa ma prevedo tempi duri per le mie amate sale.

C’ho messo un po’ perchè i cinema nella mia zona dopo lo stop hanno riaperto a rilento, e direi anche comprensibilmente data l’incertezza sulla ripresa. I film vincitori degli Oscar li avevo già visti tutti e quindi ho aspettato che avesse finalmente spazio qualche novità.

La scelta è poi ricaduta su Fortuna, opera prima del regista Nicolangelo Gelormini, liberamente ispirato alla triste vicenda di Fortuna Loffredo, una bambina di sei anni che nel 2014, dopo essere stata ripetutamente abusata da un vicino di casa venne scaraventata dal terrazzo del suo palazzo situato all’interno del Parco Verde a Caivano, nella periferia di Napoli. Il suo aguzzino è stato condannato all’ergastolo.

Nei primi minuti del film si viene subito colpiti dallo sperimentalismo del regista, dalla ricerca dell’immagine, dall’inevitabile virata verso il genere horror vista la materia trattata. Poi però il film prosegue, il regista si compiace sempre di più (ha come maestro Sorrentino, abbiate pazienza) e lo stile diventa artificioso e ridondante.

Ma non è questo ad influenzare negativamente il mio giudizio nei confronti di questo film. Le prime pellicole che fanno riferimento all’abuso sui minori risalgono addirittura agli anni ’30, con M – Il mostro di Düsseldorf di Fritz Lang, tanto per fare un celebre esempio. E da allora questo tema così scottante è stato trattato dai registi con audacia, ricercatezza, attenzione (tra gli ultimi Grazie a Dio di François Ozon, Il club di Pablo Larraín o Il caso Spotlight).

Gelormini non apporta un suo punto di vista originale alla storia di Fortuna. Mostra di avere solo una visione parziale degli eventi: la bambina incarna solamente una vittima, è un personaggio mono-dimensionale, algida e perennemente accerchiata da personaggi ambigui, complici, marci o semplicemente disperati. L’unica che potrebbe aiutarla è la psicologa interpretata da una Valeria Golino altrettanto imprigionata nello stereotipo della chioccia con un repertorio espressivo ormai limitato e fin troppo ripetitivo. Al di là di questo c’è solo un continuo indugiare sull’abuso e sulla morte imminente. Metà del film è ambientata su quella terrazza da cui precipiterà Fortuna e lo spettatore vive con angoscia il momento in cui quell’evento tragico si disvelerà davanti ai suoi occhi.

Voglio ricordare che nel 2017 Fabio Grassadonia e Antonio Piazza realizzarono un film bellissimo, liberamente ispirato alla storia altrettanto sfortunata di Giuseppe Di Matteo, un bambino che nel 1996 venne ucciso dalla mafia e sciolto nell’acido. Sicilian Ghost Story, questo il titolo, trovò una sua chiave per raccontare una storia atroce senza fare mai leva sul sensazionalismo (ri)costruendo invece l’immagine di un bambino in carne ed ossa con delicatezza e rispetto.

Ritengo che Fortuna sia invece un film crudele e ricattatorio. Che questo film non sarebbe mai stato possibile senza il suo legame ad una storia tanto dolorosa perchè come semplice finzione è una miscela di cose già viste, da Miss Violence ai fratelli D’Innocenzo passando per Garrone. Che Fortuna Loffredo non sia stata la stella polare del regista, come da lui dichiarato, ma uno strumento nelle sue mani. Fortuna Loffredo fu una bambina che conobbe l’inferno in terra, che non incontrò l’humana pietas e che, per quanto mi riguarda, continua a non incontrarla.

MA QUANTO CI ASSOMIGLIA LA SPAGNA?

Dopo ore di maratona Mentana, consultazioni, scambi di poltrone e “inciuci” vari in Italia è nato un nuovo governo. Un altro Paese che sta affrontando la stessa situazione di incertezza che ha vissuto l’Italia fino a qualche giorno fa è la Spagna. 

Oggi il Re Felipe VI incontrerà i leader dei partiti di maggioranza, su tutti il presidente in funzione, Pedro Sanchez, leader del PSOE, e Pablo Iglesias, segretario di Unidad Podemos. Dopo un lunghissimo tira e molla i due potrebbero trovare un accordo per un governo di coalizione ma non è detta l’ultima parola.

Se così non dovesse essere gli spagnoli tornerebbero alle urne per la quarta volta in quattro anni. Un’instabilità politica che accomuna i nostri due Paesi ma mentre noi italiani siamo sempre ad un passo dalla recessione e la nostra crescita raggiunge a stento l’1% annuale, negli ultimi cinque anni la Spagna ha registrato una crescita economica da record.

Dopo una fase particolarmente critica, tra il 2007 e il 2014, con quasi 4 milioni di posti di lavoro persi, un significativo calo del salario e il collasso del settore edile, la Spagna ha cominciato a riprendersi. Un fattore piuttosto inspiegabile se consideriamo le tensioni dovute alla “minaccia” indipendentista e il tasso di disoccupazione che è tuttora il più alto in Europa.

Secondo gli esperti la crescita sarebbe dovuta al fatto che la Spagna faccia meno leva sull’esportazione rispetto all’Italia e alla Germania e che abbia puntata sul settore bancario e  domanda interna che, dopo anni disperati, non poteva che tornare a crescere. 

Sempre gli economisti sono convinti che questa avanzata ha un termine e che sarà proprio questa costante instabilità politica ad influire maggiormente sui conti spagnoli. 

Mi dispiace davvero che in Italia trapelino sempre meno informazioni su un Paese a noi così tanto affine e vicino, non solo in termini geografici. Grazie allo studio dello spagnola ho avuto modo di ascoltare in lingua originale il dibattito parlamentare e, sebbene non scadente quanto il nostro, ho ravvisato moltissime somiglianze tra le argomentazioni i nostri e i loro deputati.

Tanto per cominciare il PSOE e Ciudadanos si sono accusati per giorni di pensare solo alle poltrone. Vi ricorda qualcuno? Dopodiché Pedro Sanchez ha provato a riavvicinarsi ai suoi avversari con un programma contenente ben 370 proposte. Sì, avete capito bene. Altro che i 5 punti di Nicola Zingaretti, i 12 poi divenuti 20 di Luigi Di Maio. 

Proprio in queste ore il Re (nel nostro caso il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella) ha avviato le consultazioni per capire se è ancora possibile trovare una maggioranza parlamentare o se scogliere le camere e indire nuove elezioni. In serata dovremmo conoscere le sorti del governo spagnolo. Se vi interessa potete trovare costanti aggiornamenti sul sito del principale quotidiano El Pais (https://elpais.com/), sul loro canale You Tube seguire live le dichiarazioni dei protagonisti. 

Io però non ho studiato né economia né politica e quindi mi fa piacere suggerirvi due libri e un film che possono aiutarvi a comprendere le dinamiche che regolano la politica e la società spagnola.

Il primo è Patria di Fernando Aramburu. Ne avrete sentito parlare: è un romanzo del 2016, ha avuto moltissimo successo a livello internazionale e conquistato molti premi.

Nel 1959 in Spagna nacque l’ETA,  un’organizzazione armata di matrice terroristica nata con lo scopo di ottenere l’indipendenza del popolo basco e ispirata alla politica marxista-leninista. Se vi interessa approfondire sappiate che il granissimo Gillo Pontecorvo nel 1979 dedicò un film, Ogro, all’uccisione dell’ammiraglio Carrero Blanco, proprio ad opera dei terroristi dell’ETA. Uno dei protagonisti è Gian Maria Volonté, quindi se non l’avete visto correte ai ripari. 

Il libro di Aramburu attraversa tanti anni di quella storia e ci racconta la vicenda di alcune famiglie, la cui vita si incontra e scontra con quella dei terroristi dell’ETA. Un romanzo di grande valore dedicato alle vittime tanto quanto ai carnefici che basa la sua forza sui sentimenti che hanno animato la lotta dell’ETA, su ideali e sul fanatismo, sull’incomprensibilità della violenza e l’universalità dell’amore. Un pezzo di storia, solo in parte paragonabile a ciò che avvenne in Italia con le Brigate Rosse, che finalmente la letteratura spagnola trova il coraggio di affrontare. Vivamente consigliato.

Per tornare al presente vi indirizzo fortemente all’acquisto del nuovo romanzo di Manuel Vilas, In tutto c’è stata bellezza. Un memoir atipico, malinconico, coraggioso e spietato in cui emergono tutte le criticità del suo paese natio. Vilas critica apertamente la società spagnola, il trionfo dell’individualismo, insofferente (da ex professore) ad un sistema scolastico reprimente e stantio, la disuguaglianza di genere (la “la schiavitù delle donne”). Queste considerazioni di alternano a profonde riflessioni sulla vita, sulla perdita, sui rimpianti e sull’amore, che rendono questo libro una vera pietra miliare. Imperdibile.

Dovreste trovare ancora in qualche sala il film Il Regno. Impegnatevi a recuperarlo. Se siete curiosi di sapere come è percepita la classe dirigente in Spagna guardare questo film è il modo giusto per scoprirlo. La precisione della scrittura di Rodrigo Sorogoyen e della sua regia incalzante, insieme alla bravura dell’attore protagonista Antonio de la Torre lo rendono un vero gioiellino. Il film giusto per avventurarsi nei meandri di un labirinto fatto di corruzione, avidità e ossessione e chiedersi da che parte stare.

Leggendo questi libri e guardando questi film vi renderete conto anche voi delle tante somiglianze tra la nostra politica e quella spagnola. In questi ultimi anni mi sono sembrati migliori nella loro rappresentazione artistica. Voi che ne pensate?