Capolavori del cinema come Il cielo sopra Berlino e Paris, Texas non bastano a definire la grandezza di Wim Wenders. Il regista tedesco, 72 anni, è da sempre anche un abile documentarista, come testimoniano Buena Vista Social Club, Pina e Il sale della terra. Al Festival di Cannes quest’anno presenterà Pope Francis—A Man of His Word, attesissimo documentario dedicato a Papa Francesco.
Perché ha scelto di realizzare un film che vede protagonista il Pontefice?
Perché rappresenta il raro esempio di un uomo coraggioso i cui comportamenti sono coerenti con le sue parole. È una persona di cui ci si può fidare perché non agisce in nome dell’interesse personale ma del bene comune. Sono credente e questo documentario è un sogno che si avvera ma anche una grande responsabilità.
Cosa può anticiparci?
Vedrete il Papa che si rivolge direttamente allo spettatore, un faccia a faccia su tutte le questioni a lui più care. Non l’ho immaginato come un film SU di lui ma come un film CON lui. Il suo messaggio è universale.
Perché è così importante nel mondo di oggi?
Papa Francesco si batte a favore dell’integrazione, il nostro compito più difficile in un momento in cui la radicalizzazione, che è il frutto di assenza di conoscenza, comprensione e comunicazione, sta prendendo il sopravvento. Bisognerebbe smettere di guardare a ciò che ci divide e cominciare a considerare ciò che ci unisce.
Ha ricevuto qualche pressione da parte del Vaticano?
Affatto. Non ci sono state interferenze, mi hanno lasciato carta bianca e ho avuto accesso a molte immagini di archivio esclusive dei suoi viaggi.
Che cosa la spinge a realizzare film dopo 45 anni di carriera?
Sono interessato a film che testano il mio intelletto. In ogni film ricerco il senso della vita. Adoro i documentari perché mi fanno sentire vulnerabile e mi fanno godere di una libertà che nel cinema non esiste. Non saprei come sopravvivere senza.
Originariamente pubblicato su D La Repubblica