Rino Gaetano, 40 anni fa un outsider a Sanremo

“Qualcosa da dire sul festival, Gaetano?”. “Certo. Io penso che Luigi Tenco dieci anni fa sia morto di noia”. È il 1978 e Rino Gaetano esordisce al Festival di Sanremo con Gianna. Questo giovane cantautore semi-sconosciuto, crotonese di origine e romano di adozione, importava per la prima volta all’Ariston leggerezza e irriverenza. Persino il suo outfit è motivo di scalpore: cappello a cilindro, frac, ukulele, scarpe da ginnastica e medaglie al valore al petto. Il risultato è inatteso. Si classifica al terzo posto tra i cantautori. Vincono i Matia Bazar, Anna Oxa rivela all’Italia il suo talento con Un’emozione da poco ma la star indiscutibile è lui. Rino Gaetano.

Tre anni più tardi, il 2 giugno 1981, avrebbe perso la vita in seguito ad un incidente stradale, a soli 31 anni. Il suo fascino è rimasto immutato nel tempo, la sua musica è stata spesso fraintesa, strumentalizzata, ma mai dimenticata. Le sue canzoni più famose, da Ma il cielo è sempre più blu Berta filava Nuntereggae più Aida sono rimaste impresse nell’immaginario collettivo, tramandate di generazione in generazione. I giovani lo adorano, i politici fanno a gara per appropriarsi della sua protesta e le sue note echeggiano dalle feste dell’Unità alle piazze a 5 stelle.

Anticonformista. Outsider. Immigrato. Meridionale. Rino Gaetano è un artista underground che ha avuto successo per uno strano scherzo del destino. Cantarlo a squarciagola, ad una festa con gli amici o al falò di Ferragosto in riva al mare, ha un senso liberatorio. Oggi, come allora, qualcuno gli avrebbe dato del demagogo, del qualunquista, perfino del furbo, ma Gaetano dà voce ad una società definita dal disinteresse e dalla solitudine in cui i rapporti umani sono sempre più falsati e l’incontro è cosa rara.

Nelle sue canzoni canta l’incomunicabilità, l’isolamento, l’esclusione sociale. È insofferente all’ipocrisia. Il suo tono è leggero e dissacratorio ma mai superficiale. Rino riesce ad emergere nella Roma del Folkstudio, l’Harlem romano secondo i critici americani, ma per i più rimaneva “un ragazzo curioso che cantava cose curiose” mentre a sbancare erano Antonello Venditti e Claudio Baglioni, e i cantautori impegnati come Guccini e De André. Per Gaetano, amante dei Beatles, del teatro di Petrolini, delle poesie di Majakóvskij, il percorso è più tortuoso. È un autodidatta che fatica a farsi strada, uno spirito libero. Non è un caso che di lui scrivesse bene un precursore come Renzo Arbore che in quegli anni era alla guida di Alto Gradimento.

Rino Gaetano - Essenzialmente Tu

Il modo migliore per approfondire la sua conoscenza, e affrontare i difficili giorni in cui gli aficionados guarderanno Sanremo sperando nell’ennesima reunion di Al Bano e Romina, è leggere il libro Rino Gaetano. Essenzialmente tu di Matteo Persica, già autore del toccante Anna Magnani. Biografia di una donna. Quella dedicata al cantautore di origini calabresi (che sconsigliava di leggere le vite dei cantanti) è una biografia più atipica. Una raccolta di interviste inedite e delle testimonianze di chi lo ha conosciuto, e amato per ciò che era veramente: una persona pulita e semplice, un’anima pura che aveva un solo desiderio, essere considerato un uomo per bene.

Persica azzera i pregiudizi e si lancia nel racconto delle sue abitudini quotidiane, delle sue passioni e dei suoi amori. Il ritratto che ne viene fuori è lontano da quello delineato dalla fiction Rai con protagonista Claudio Santamaria che tanto indispettì Anna Gaetano, sorella di Rino. Malinconico sì, ma non un poeta maledetto né tantomeno un vizioso. I suoi amici storici, le sue fidanzate, gli addetti ai lavori negano la sua natura solitaria e la sua ossessione per il successo. Lo ricordano come un ragazzo genuino, sensibile, che viveva la musica come passione e non come un business, che rifuggiva etichette e ipocrisia. “Rinuccio era il figlio del portiere senza mai una lira, con la battuta pronta e gli occhi che gli sorridevano”. Cercava nella musica il proprio riscatto sociale. Non ha fatto in tempo a diventare un divo, o forse un divo non sarebbe mai diventato.

Originariamente pubblicato su Esquire Italia

 

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