The Putin Interviews: come se l’è cavata Oliver Stone al Cremlino?

La critica americana non ha gradito ma il confronto tra i due è rivelatorio, solo apparentemente bonario

In Italia non c’è ancora la HBO, non c’è l’AMC né Showtime ma da giovedì 5 ottobre, per due serate, andrà finalmente in onda su Rai 3 un evento televisivo imperdibile. Sarà Lucia Annunziata (ahi noi) ad introdurre The Putin Interviews, documentario in quattro parti diretto da Oliver Stone che per la terza volta si trova ad intervistare uno dei più grandi personaggi storici contemporanei.

Il personaggio in questione è il Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin, un uomo spesso descritto come un dittatore senza scrupoli, lo stesso che Hillary Clinton ha paragonato per i disegni e i crimini commessi ad Adolf Hitler.

Se le interviste a Hugo Chavez e Fidel Castro erano state definite dal The Guardian delle chiacchierate con un fan, la critica statunitense non è stata più morbida questa volta nei confronti del regista di Platoon. Il The Daily Beast ha definito il documentario “l’irresponsabile lettera d’amore di Oliver Stone a Vladimir Putin”, “il ritratto adorante di un eroe che ha il chiaro obiettivo di umanizzare Putin e demonizzare l’America”, sostenendo che il cineasta abbia remato contro la politica americana fin dai tempi di JFK.

Non gradisce neanche il New York Times, secondo cui il documentario è “ossequioso e talmente generoso da risultare imbarazzante”. Ma qual è l’obiettivo di Oliver Stone al cospetto di questo leader sanguinario e purtroppo così straordinariamente incisivo sui nostri tempi? Un’ammissione di colpa in stile Frost/Nixon sarebbe stata impensabile, se non utopica. Quello che sembra interessare maggiormente il regista è affidare la parola all’uomo più temuto del mondo. Anche riguardo argomenti apparentemente irrilevanti e risaputi: l’infanzia, la passione per il judo, i legami famigliari.

Le conversazioni tra i due sono state registrate tra il luglio 2015 e il febbraio 2017, un mese dopo il controverso insediamento di Donald J. Trump alla Casa Bianca. Si parlerà anche di questo. Non prima di aver stuzzicato l’ego del leader russo: “Lei ha subito solo 5 attentati contro i 50 di Fidel”. Putin non si scompone e sorride sornione come farà quasi per l’intera durata dell’incontro, specie dinanzi a domande cui non ritiene opportuno rispondere.

Snocciola spontaneamente battute sessiste e omofobe “Io non ho mai la luna storta, non sono mica una donna!” oppure “preferirei non fare la doccia insieme ad un gay, perché provocarlo?”. Ride sguaiatamente per la sola e unica volta nel corso dell’intervista. Poi, riferendosi alla legge contro la propaganda gay bocciata dalla  Corte europea, afferma candidamente il falso. “Noi non perseguitiamo nessuno in base al proprio orientamento sessuale”.

Mente e mentirà spudoratamente su vari fronti. Neanche il più ingenuo tra gli spettatori sarebbe portato a credergli. “Nonostante provino a demonizzarci in tutti i modi la Russia è un paese democratico”. E non ammette che gli si attribuisca la colpa per l’elezione di Trump. “Contrariamente agli altri paesi la Russia non ha mai interferito con gli affari interni altrui. Non è nella nostra politica. Trump? Per me un presidente vale l’altro! Se non vi piace dovreste chiedervi perché il popolo americano ha deciso di eleggerlo”.

Uno dei momenti chiave dell’incontro è quando il regista statunitense gli propone di vedere insieme Il dottor Stranamore di Stanley Kubrick. Al termine della visione Stone gliene regalerà una copia. Putin si accorge che all’interno del cofanetto manca il DVD. “Tipico regalo americano”, lo definisce ridendo, quasi a riassumere in poche semplici parole il suo disprezzo per la forma mentis statunitense.

Nel corso della conversazione Stone lo interrogherà anche in merito alla propria routine quotidiana, provocandone la vanità. “Ha 63 anni, come riesce a tenersi così in forma?”. “Mi alleno 7 giorni su 7. La mattina mi sveglio, prima vado in palestra e poi in piscina”. “Ha un personal trainer?”, “Ce l’avevo, ma il maestro sono io”.

Non poteva ovviamente mancare una domanda su Edward Snowden, ex consulente del NSA al quale il regista ha dedicato l’omonimo film con protagonista Joseph Gordon-Levitt. Dal 2013 il noto whistleblower vive in Russia, l’unico Paese che abbia concesso l’asilo politico. Il motivo? “Per sostenere la sua lotta contro la violazione dei diritti umani”, parola di Putin, non di un comico del Saturday Night Live.

Oliver Stone fa del suo meglio, si muove come un equilibrista e onestamente sembra più spinto da una forte curiosità che da una sincera ammirazione. Divertenti e mai goffi i tentativi di capire fino a che punto possa spingersi dinanzi all’uomo ritenuto responsabile del massacro in Cecenia, della morte e della tortura di decine di oppositori (da Anna Politkovskaya a Boris Berezovsky).

“Lei ha due figlie sposate. Dica la verità, discute mai con i suoi generi?” “È un amante dell’hockey. Ha mai perso una partita?”. Se è pur vero che Stone non riesce mai a metterlo in difficoltà sul piano dialettico, l’intervista è così attenta, studiata da risultare non solo godibile ma anche rivelatoria in merito alla natura di un uomo dispotico e arrogante ma anche estremamente astuto e intelligente.

E quando il regista un po’ tristemente gli chiede che effetto faccia avere a disposizione un tale impero economico Putin lo ripaga con un complimento che per la prima volta sembra imbarazzarlo. “Lei è molto più ricco delle persone che possiedono denaro. Lei ha un’opinione, un talento, ha la possibilità di mostrare a tutti questo suo talento e ha l’opportunità di lasciare un’eredità molto importante. Il denaro non può procurare questo genere di felicità”.

Arriva il momento dei saluti, dei convenevoli e di qualche consiglio turistico per la signora Stone. “Grazie per le domande, il tempo che mi ha dedicato e la sua meticolosità. Mi dica, è mai stato picchiato?”. C’eravate cascati?

Pubblicato originariamente su Wired Italia il 2 ottobre 2017

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