Bérénice Bejo: Che tenerezza Robert Pattinson!

Bérénice Bejo incarna la perfetta definizione dell’anti-diva. Di persona è una donna sobria, una quarantenne in splendida forma che dà l’idea di una mamma a tempo pieno prestata al cinema. Il successo del film premio Oscar 2011 The Artist, in cui fu la musa del marito regista Michel Hazanavicius, avrebbe fatto perdere la testa a chiunque. Non a lei. Che da allora ha scelto film quasi sempre scomodi, spesso destinati al fallimento commerciale.

Un esempio? In attesa di vederla nel nuovo film del marito, Formidabile (presentato in anteprima mondiale al Festival di Cannes), con Louis Garrel nei panni di Jean-Luc Godard, Bérénice Bejo torna sui nostri schermi con L’infanzia di un capo. Un film geniale ma fortemente atipico che racconta la formazione del carattere di un bambino nella Parigi del primo dopoguerra pronto a diventare il tiranno del futuro. Qui la Bejo si trasforma in una donna cupa e glaciale, distante anni luce dalla solare Peppy di The Artist o dalla dolce Elisa che favorisce il ritorno alla vita di Massimo Gramellini nell’adattamento cinematografico di Fai bei sogni diretto da Marco Bellocchio. Nel cast anche Robert Pattinson.

L’infanzia di un capo è un film destabilizzante per chi lo guarda. Lo è altrettanto per chi lo interpreta?

Ho accettato il ruolo subito dopo aver letto la sceneggiatura. Mi ha conquistata. È bastata una telefonata con il regista (Brady Corbet, 28 anni, ndr.) per convincermi. Anche se lui ha parlato ininterrottamente per un’ora e mezza. Ho pensato che fosse impossessato (ride, n.d.r.). È un film che non conosce le mezze misure: o lo ami o lo odi.

Qual è stata la sfida più grande per lei?

Dover recitare in inglese mi ha creato sicuramente dei problemi. Mi rendeva insicura. In più la donna che interpreto è molto diversa da me e da tutti i miei ruoli precedenti. Brady mi mandava letteralmente in confusione. Alcune volte avevo l’impressione di trovarmi in un film di Buñuel ma i suoi riferimenti erano altri: Dreyer, Haneke, Lars Von Trier.

Il ruolo doveva essere di Juliette Binoche. A chi si è ispirata per interpretarla?

È un personaggio dark. Io, al contrario, ho un carattere dolce e un aspetto quasi angelico. Ho provato ad essere il più naturale possibile. Ho riguardato i film di Bergman e Gertrud. Sul set mi è stata concessa la massima libertà, ho immaginato il suo accento e anche il suo background. Credo che la scelta di non delineare dei confini nel mondo in cui viviamo oggi sia rivoluzionaria.

Da un punto di vista politico è un film spaventoso. Quanta responsabilità sente di avere in quanto artista?

Il mondo di oggi mi fa paura. Noi abitiamo a pochi km dal Bataclan e dopo l’attacco terroristico siamo rimasti sconvolti. Sostengo da diversi anni un’associazione che supporta i rifugiati. Sono una rifugiata anche io visto che i miei scapparono da Buenos Aires quando avevo tre anni per sfuggire alla dittatura militare. Credo che i registi e gli attori abbiano anche il compito di raccontare il mondo che li circonda. Dovrebbero esserci tanti film a raccontare cosa sta succedendo in Ucraina, in Siria o in Yemen, per fare un esempio. Viviamo in un mondo ancora più ipocrita di 50 anni fa. I dittatori sono dietro l’angolo, l’Occidente continua a finanziarli salvo poi scandalizzarsi dinanzi alle stragi di civili. Il lavoro delle associazioni e dei volontari è encomiabile ma è solo una goccia di acqua nell’oceano in confronto a ciò di cui i governi continuano ad essere complici.

Accettare un ruolo del genere in un film anti-commerciale come questo richiede un certo coraggio. Un consiglio di suo marito?

Guardi mio marito interviene poco nelle mie scelte. Sicuramente è una persona molto rassicurante che mi ha aiutato a dare equilibrio alla mia vita ma a casa siamo solo marito e moglie. A 28 anni la mia carriera era inesistente e dormivo ancora sul divano di mia sorella, oggi mi ritengo una donna fortunata.

Che cosa le piacerebbe sperimentare in futuro?

Adoro le commedie, mi piacerebbe girarne una in America ma è necessario che mi arrivi il copione giusto. In genere non ho pregiudizi, amo anche i blockbuster. Volerei a Los Angeles domani mattina per girare il nuovo Mission Impossible! Se in Francia ho rifiutato qualche ruolo è stato perché non mi piacevano le idee che muovevano i progetti.

Che tipo è Robert Pattinson?

Non ci crederà ma un ragazzo molto timido e terribilmente insicuro. Mi ha fatto molta tenerezza. Voleva essere continuamente rassicurato ma io ero più in panne di lui. È impensabile vedere una grande star di Hollywood come lui così afflitta dai dubbi. Però mi ha anche impressionato per l’impegno e la passione. Veniva sul set anche quando non aveva scene da girare.

A questo punto il più sicuro è sembrato il piccolo Tom Sweet (che interpreta Prescott, il bambino protagonista ndr)…

Senza dubbio! Quel bambino è un genio. Recitava con una tale professionalità e naturalezza che avevo paura di fare brutta figura intervenendo sul set dopo di lui. Quando lavoro con i bambini sul set sono sempre molto protettiva, come se fossero miei (Lucien di 8 anni e Gloria di 5, ndr). Ho sconsigliato ai genitori di fargli realizzare interviste perché credo che sia giusto che i bambini mantengano la propria innocenza il più a lungo possibile. Detto questo Tom sarà il prossimo Leonardo DiCaprio, ne sono certa!

Originariamente pubblicato su Amica.it

 

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