Daniele Pecci si dice molto felice. Di recente è diventato papà del suo secondo figlio, una bambina nata dalla relazione con l’attrice Anita Caprioli e, dopo aver regnato nell’impero delle fiction della tv generalista torna al suo primo grande amore: il teatro. Lo raggiungo telefonicamente a poche ore dall’inizio delle prove quotidiane di Amleto, lo spettacolo con cui andrà in scena dal 18 ottobre al Teatro Quirino di Roma in qualità di regista e interprete.
Il tragico eroe shakespeariano mi offre l’occasione per chiedergli quali sono le paure che possono affliggere perfino un quarantaseienne di successo come lui. Inizialmente mi dà l’impressione di essere un po’ impostato, rigido, quasi mi sorprendo a strappargli qualche sorriso nel corso della conversazione. Pecci è un attore notoriamente riservato ma, scopro, non affatto taciturno: coraggio è la parola che ricorrerà più di frequente durante il nostro colloquio. Una qualità che gli ha fatto da salvagente anche in momenti di insospettabile difficoltà, che qui ci racconta apertamente…
Che cosa l’ha motivata a cimentarsi in questo nuovo adattamento di Shakespeare?
«Per chi ama il teatro di repertorio Amleto è probabilmente il più grande testo che sia mai stato scritto, e questo tenta ovviamente la fantasia di un regista e di un attore. A ciò si aggiunge l’impegno divulgativo con cui io interpreto questa professione. Sono inciampato un po’ per caso, un po’ per fortuna in questo mestiere, in questa letteratura, in questa bellezza, l’ho trovata speciale, meravigliosa, risolutiva, mi ha cambiato la vita. Mi sento in dovere di trasmetterla al pubblico, anche quello che solitamente non frequenta il teatro».
Cosa la affascina di Amleto?
«È un personaggio che viene schiacciato dalla responsabilità che pesa sulle sue spalle, quando diventa erede di uno Stato le cui sorti dipendono da lui. È terrorizzato dall’idea di agire e diventa portatore di tutte quelle ansie che condizionano il nostro viver quotidiano».
A quali aspetti della vita sono legate le sue?
«La vita può spaventare. Ci vuole coraggio per affrontare la perdita, il dolore, il fallimento, la disillusione amorosa. Anch’io sento il peso di tutto questo a volte».
Come supera quei momenti?
«Credo che la virtù più grande sia il coraggio. Bisogna continuamente spronarsi. I grandi mali che affliggono il mondo, dalla giustizia sociale alla violenza, dipendono tutti dalla mancanza di coraggio. Ammiro chi si sveglia presto la mattina in una giornata fredda per prendere un mezzo nel traffico di una metropoli e raggiungere un umile posto di lavoro per pochissimi soldi senza avere la garanzia di una pensione che possa consentirgli una vita dignitosa. Chi non è capace di farlo spesso sceglie la via della delinquenza perché è talmente debole che crede che rubare a qualcun altro sia l’unica soluzione».
Immagino che siano problemi che, fortunatamente, non la riguardano da vicino…
«No, infatti. Provengo da una famiglia borghese, non ricca ma neanche povera. Mi è stata data la possibilità di inseguire un sogno e poi ad un certo punto è passato qualche treno e sono stato forse bravo a farmi trovare pronto e a salirci sopra. Ho dedicato a questa professione e a questo sogno ogni singolo sforzo ma c’è stato un momento dai 20 ai 25-26 anni in cui ho temuto di finire per strada. Purtroppo in Italia la recitazione non può neanche essere considerato un lavoro precario, sono pochissimi quelli che riescono a camparci».
Cosa ha provato in quegli anni di difficoltà?
«In quel periodo ero convinto che il fallimento fosse dietro l’angolo. Non riuscivo a mantenermi con questo lavoro pur avendo avuto la fortuna di trovare sempre delle scritture, dei piccoli ruoli. Ho lavorato come cameriere nei grandi alberghi di Roma pur di continuare senza nessuna certezza di un futuro. Ricordo che con i colleghi con cui dividevo l’appartamento inventavamo soluzioni allucinanti pur di riuscire a pagare un misero affitto. Neanche ora sono seduto su un trono, pur avendo preso parte a fiction di grande successo, e nulla vieta alla mia carriera di oggi di potersi incrinare e di ritrovarmi tra qualche anno senza niente, succede a centinaia di attori!».
Quindi il futuro la spaventa?
«No, mi considero una persona ottimista. So che tutto dipende di me, dalla mia forza di volontà e dalla capacità di migliorarmi ogni giorno e di tentare continuamente la fortuna. Il segreto è sentirsi sempre degli esordienti».
Quali sono le qualità che cercherà di trasmettere ai suoi figli quando saranno più grandi?
«Prima di tutto il coraggio e poi la tenacia perché ho avuto la riprova che sono qualità fondamentali per riuscire a cambiare lo stato delle cose».
Una filosofia che la aiuta ad affrontare anche il passare degli anni con serenità?
«L’invecchiamento è fisiologico. Pur essendo stato un bel ragazzo, assolutamente nella media, non ho mai fatto affidamento sull’avvenenza fisica. Essere piacenti e piacevoli è molto bello sia per il proprio ego che per questo mestiere. In realtà però fino ai trent’anni ero considerato al pari di tanti altri. Poi con la tv il mio aspetto è diventato improvvisamente un fatto straordinario e la mia bellezza incredibilmente appetibile. Fortunatamente avevo già la maturità giusta per capire che si trattava di un fenomeno mediatico. Comunque già da qualche anno ho cominciato a restituire in maniera piuttosto larga quello che la natura mi ha dato (ride, n.d.r.), ho quasi 50 anni e misurare ancora la beltà in questa fase della mia vita mi sembrerebbe quasi ridicolo!».
Lei ha lavorato al cinema, a teatro e soprattutto in tv, dove si sente più a suo agio?
«Al teatro sono legate tutte le mie soddisfazioni più grandi. Il cinema rimane un grande sogno non avendo avuto la possibilità di frequentarlo spesso. Spero di ricevere presto l’occasione di esprimermi al meglio anche in quel campo che amo molto da spettatore e che mi tenta. La tv è un enorme mezzo in cui credo tanto e a cui devo tutto».
Ha sempre dimostrato di essere una persona molto riservata. Come vive il rapporto diretto con il pubblico e le loro esternazioni di affetto?
«Sono contento dell’affetto che le persone mi manifestano anche privatamente con lettere e messaggi. Devo dire che pur essendo diventato popolare grazie alla tv, godo di una certa tranquillità e ho la libertà di muovermi come meglio credo. Cammino circondato da chiaro disinteresse (ride, n.d.r.). Sicuramente noto che quando sono per strada le persone mi riconoscono, qualcuno mi saluta, qualcuno arriva a dirmi qualcosa, ma non so bene per quale motivo tutto avviene con estrema educazione».
Pubblicato originariamente su Vanity Fair Italia