«Ho scelto di raccontare la storia di Edward Snowden perché, come a suo tempo JFK, mi dava l’opportunità di penetrare un mistero, di accedere a luoghi semi-sconosciuti». Esordisce così il celebre regista americano Oliver Stone a colloquio con la stampa dopo la premiere mondiale del suo ultimo film al Toronto Film Festival.
Snowden racconta le note vicende che videro protagonista l’informatico statunitense dal 2004 al 2013, ovvero dal suo tentativo di arruolarsi nelle Forze Speciali dopo l’attacco terroristico dell’11 settembre all’incontro con la documentarista Laura Poitras e i giornalisti Glenn Greenwald e Ewan MacAskill, cui rivelò informazioni segrete sui sistemi di sorveglianza americani, e alla conseguente fuga dagli USA.
Il suo talento nel campo informatico lo portano infatti a lavorare prima come analista della CIA e poi della NASA. Il film racconta la sua crescente insofferenza dovuta alla scoperta delle tattiche adottate dai suoi superiori. Da qui la decisione di denunciare al mondo l’attuale sistema operativo basato sulla costante violazione della privacy dei cittadini.
«L’aspetto che più mi ha colpito della storia di Snowden è il suo patriottismo. Credo che abbia sempre agito in nome di un sincero amore per il suo Paese e per i principi su cui è fondato». A parlare è Joseph Gordon-Levitt, l’attore cui è spettato il compito di interpretarlo nel biopic di Oliver Stone.
E aggiunge: «Ad essere sincero prima del film conoscevo ben poco di lui, come tanti conoscevo gli avvenimenti solo per sommi capi. L’ho incontrato durante la lavorazione del film e mi ha rivelato il suo grande desiderio di rientrare in patria. Spero che non rimanga inesaudito».
Se regista e interprete sono un coro unanime nel difendere la causa di Snowden, inutile dire che le reazioni della stampa al film sono state contrastanti. Il primo a tesserne le lodi è stato Variety il cui critico scrive: «Non solo Snowden è il miglior film di Oliver Stone dai tempi di Gli intrighi del potere – Nixon (1995) ma il dramma politico più entusiasmante firmato da un regista americano negli ultimi anni».
Radicalmente opposto il giudizio dell’Hollywood Reporter che, non solo sottolinea la distanza tra l’universo cinematografico di Stone e la personalità poco carismatica di Snowden, ma critica aspramente la sceneggiatura del film (scritta con Kieran Fitzgerald) e la sua totale mancanza di empatia.
Tendenzialmente più vicina al secondo parere che al primo, chi scrive non ha potuto fare a meno di notare l’inferiorità del film rispetto al documentario Citizenfour di Laura Poitras, che racconta nel dettaglio la stessa storia in maniera più chiara e avvincente.
Dopo aver brillato nei panni del funambolo Philippe Petit in The Walk di Robert Zemeckis, Joseph Gordon-Levitt si trova qui imprigionato nell’apatia di un personaggio che finisce per inghiottirlo anche (e soprattutto) a causa della colpevole assenza di suspense nello storytelling. Complessivamente Snowden è un film talmente piatto da non poter essere neanche definito retorico, pregio o difetto dei grandi successi del regista negli anni Novanta.
Altro grande problema del film è la scarsa rilevanza dei personaggi secondari, dal veterano Nicolas Cage al pivello Scott Eastwood, passando per Melissa Leo, Zachary Quinto e Shailene Woodley. A prescindere dalle indubbie doti del team messo in campo da Stone, nessuno di loro riesce ad emergere su un terreno così desolante.
Più che alle critiche Oliver Stone è sembrato interessato all’impatto politico che spera che il suo film possa avere. «Mi auguro che prima della fine del suo mandato Barack Obama possa riconoscere il talento di Snowden e la validità del suo operato», ha dichiarato il regista premio Oscar. «Qualora gli venisse assicurato un regolare processo, sarebbe disposto a tornare. Spero che il mio film possa essergli di aiuto».
Sul futuro ammette però di essere poco ottimista: «Difficile conoscere la verità. Il nostro governo non fa che mentire e il mondo è del tutto fuori controllo! Sono d’accordo con Snowden quando sostiene che la prossima generazione non conoscerà la parola privacy. L’importante è non fermarsi mai alla prima versione dei fatti che ci viene fornita».
Fortuna che a risollevare il morale dei giornalisti ci pensa Joseph Gordon-Levitt, con tenero sorriso ma sguardo vivace. «Il futuro dipende da noi. Internet non è solo un mostro da cui proteggerci ma anche uno strumento per può aiutarci a mantenere la privacy nelle nostre vite. Io non mi arrendo!».
L’attore californiano, che da anni sostiene la creatività di centinaia di giovani artisti attraverso la hitRECord.org, sua società di produzione online, si è detto molto protettivo nei confronti della sua vita privata.
«Per me è fondamentale ritagliarmi degli spazi, rimanere solo per mettere insieme le idee. Alcune persone amano rendere pubblico tutto ciò che li riguardi, dalle loro opinioni alle loro cene. Rispetto chi decide di rendere la propria vita una performance proprio perché ritengo giusto avere scelta».
Se gli americani dovranno attendere solo pochi giorni per decretarne il successo o il fallimento (l’uscita nelle loro sale è prevista per il 16 settembre) per noi italiani l’appuntamento è rinviato al 1° dicembre.
Pubblicato originariamente su Vanity Fair Italia