Cleverman: Australiani aborigeni alla conquista della tv

In onda la prima serie australiana supereroistica che rende omaggio alla mitologia indigena  e sfida gli show americani con scene di violenza degne di una puntata di Game of Thrones. Mentre a Hollywood si discute incessantemente di diversità e del pay gap tra attori e attrici, in Australia la televisione spalanca le porte al primo show scritto, diretto e interpreto da artisti aborigeni.

Cleverman, miniserie in sei puntate in onda sull’ABC (Australian) e su Sundance TV (USA), è ambientata in un futuro distopico spunto da vecchie mitologie. D’altronde, come si precisa nell’intro del primo episodio, “la cultura degli aborigeni australiani è la più longeva della terra con più di 60000 anni di storia”.

A dare il titolo allo show è il cleverman ovvero il sommo che fa da tramite tra il mondo del sogno e quello reale. L’aspetto più interessante dello show sta nella scelta dello showrunner, Ryan Griffen, e degli sceneggiatori (Michael Miller, Jon Bell and Jane Allen) di immaginare il futuro partendo dal passato, un passato di ostracismo e violenza.

I protagonisti della serie sono infatti i cosiddetti Hairies, confinati in una zona molto simile al District 9 del film di Neill Blomkamp in cui vivono in condizioni degne del Terzo Mondo. Koen (Hunter Page-Lochard) e Blair (Ryan Corr) sono invece due giovani che si approfittano delle miserie altrui. In particolare il primo offre riparo ad una famiglia di Hairies in un appartamento in città per poi venderli al governo in cambio di soldi.

Da quel momento in poi cominciamo ad assistere ad un’escalation di violenze penetrate ai danni di questa famiglia, che verrà imprigionata e torturata come centinaia di loro simili in un’agghiacciante struttura detentiva. Solo successivamente Koen si accorgerà che le sue sembianze stanno rapidamente cambiando e che lui stesso potrebbe essere il chiacchierato cleverman. I fan di Game of Thrones gradiranno e riconosceranno il loro Iain Glen nei panni di un magnate dei media.

Lontano dagli standard degli show supereroistici americani (da Daredevil a Jessica Jones), Cleverman è uno show che rivendica la propria identità fin dallo storytelling, che procede con un ritmo cadenzato che lo rende ammaliante, a tratti ipnotico.

Il risultato che si ottiene da una sceneggiatura nata da storie tramandate oralmente per oltre 60.000 anni rispetto a copioni ostaggio dei comic book, né migliore né peggiore, ma portatore di una diversità di cui il tele-spettatore ha sempre più urgenza. 

A partire dallo ottime interpretazioni degli attori protagonisti per arrivare al set design e alla fotografia, Cleverman appare sin dai primi minuti una serie sì sperimentale ma anche estremamente ambiziosa e coraggiosa. Ovviamente numerosi sono i riferimenti all’attuale situazione politica, all’emergenza rifugiati e alla retorica incendiaria di Donald Trump.

Outcast e Preacher, le serie più chiacchierate del momento, non ce ne vorranno se anche solo per una questione di curiosità e diversificazione tentiamo a prediligere la struttura rudimentale di Cleverman, una serie che potrebbe essere soltanto l’antesignana dell’incursione degli artisti aborigeni nella serialità.

D’altronde la rivoluzione non parte dalla tv ma dal cinema. Di recente, dopo la première al Toronto Film Festival, è uscito nelle sale australiane Spear, ovvero il primo film sulla danza indigena contemporanea realizzato dal coreografo Stephen Page.

Un esordio lodato dalla critica (dal The Guardian a Variety) e un esperimento che conferma le potenzialità artistiche di una minoranza, ancora troppo discriminata e ignorata.

Dopo le battaglie per i diritti civili (il suffragio universale ottenuto solo nel 1962 e le prime donne elette in Parlamento), gli aborigeni provano a ritagliarsi il proprio spazio nell’industria dell’intrattenimento, l’ultimo passo per esorcizzare secoli di marginalizzazione e ineguaglianza.

Originariamente pubblicato su GQ Italia

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