Questa sera Nicoletta Braschi e Roberto Benigni riceveranno il Globo d’Oro alla carriera, premio conferito dall’Associazione della stampa estera che li ha definiti “la coppia più popolare del cinema italiano di oggi”, “fuori dagli schemi in tutto”, “la quintessenza dell’imprevedibile anima di questo Paese”. I premi, i complimenti e le continue manifestazioni d’affetto del pubblico non hanno intaccato minimamente l’umiltà e la natura dolce e riservata di Nicoletta Braschi. È una donna fortunata, fa ciò che ama e non ha rimpianti ma riesce soprattutto a custodire un candore accomunabile solo a quello di dive dei tempi or sono, Giulietta Masina per citarne una.
Nel corso della nostra conversazione sceglie ogni parola con cura, è gentile, ironica e sorridente. C’è chi coglie ogni pretesto per giudicare severamente Benigni, che sia il recital sulla Divina Commedia, i compensi percepiti o gli interventi politici. E c’è chi li ama entrambi sconfinatamente, dall’improbabile passo a due in Daunbailò di Jim Jarmusch al premio Oscar per La Vita è bella. Questa intervista potrebbe essere invece una conferma per chi non ha mai smesso di ritenere Nicoletta una vera principessa.
Che cosa rappresenta per lei la vittoria del Globo d’Oro?
«Mi gira un po’ la testa. Sono grata a chi me lo conferisce e lo considero un incoraggiamento. Il premio mi dà un senso di ebbrezza e di inconsapevolezza, che mi aiuta. Ho la sensazione che sia stata fatta una certa quantità di lavoro. Sono orgogliosa che i film che ho girato siano così vivi da suscitare ancora interesse. È un grosso piacere per me sentire le persone indicarli come i loro film preferiti».
Come descriverebbe la sua carriera? Ne è pienamente soddisfatta o ha dei rimpianti?
«Innanzitutto mi sembra che la parola carriera si addica di più alla mia prossima vita. Non sono ancora grande e sufficientemente preparata ad affrontarla. Non ho alcun rimpianto e sono appagata dal fatto di aver realizzato dei film che hanno la capacità di regalare un paio d’ore di svago onesto a chi li guarda».
Condivide questo premio con suo marito Roberto Benigni. Come è riuscita a proteggere la sua indipendenza artistica?
«Non mi sono mai posta questo problema. L’indipendenza è data proprio dal fatto che si lavora insieme, si collabora e ci si confronta. Sono più che felice e onorata di lavorare con Roberto Benigni, ho avuto la grande fortuna di averlo incontrato e di aver costruito con lui i nostri film».
Siete una coppia molto amata ma anche molto criticata. Qualsiasi dichiarazione di suo marito diventa un caso nazionale. Lei di queste polemiche se ne occupa? La disturbano?
«In genere quando le critiche sono espresse in modo gentile e pacato da punti di vista intelligenti si possono anche cogliere delle idee tra le righe, degli spunti di riflessione. Si possono prendere distanze definitive solo da atteggiamenti o realtà di razzismo, di criminalità, violenza, disonestà. Solo in quel caso sono concepibili parole di sdegno, altrimenti è importante esprimere un pensiero che si articola in modo democratico».
Lei si è sempre dichiarata una donna di sinistra. Cosa ne pensa dell’attuale panorama politico italiano?
«Mi sembra normale definirmi una donna di sinistra e ogni volta che c’è un governo di sinistra non posso che essere contenta, è un sollievo, lo è sempre stato e sempre lo sarà. Questo non vuol dire che non eserciti senso critico ma questa è la base per dialogare».
Sono diversi anni che non la vediamo al cinema. È una scelta oppure ha preferito dedicarsi al teatro spontaneamente?
«Non è stata una scelta. Vengo dal teatro, ho una preparazione teatrale e per me tornare a teatro è come tornare a casa».
Come nasce la collaborazione con Andrea Renzi che l’ha diretta in Tradimenti di Pinter e Giorni Felici di Beckett?
«Andrea Renzi è un regista e un attore bravissimo. Ammiro la sua sensibilità estetica e mi fido di lui, è capace di confrontarsi in modo leale e libero. Ho affrontato con lui con grande interesse questo percorso teatrale da Pinter a Beckett. Ogni sera di replica tentiamo di restituire al pubblico un capolavoro».
Due coppie, la ricerca dell’identità, il disperato attaccamento alla vita, il sarcasmo, la solitudine, i ricordi, il gioco tra i sessi. Che cos’è che l’ha più affascinata di questi due testi?
«Se devo trovare due cose che mi rimangono di più direi che in Tradimenti mi affascina molto il non detto, che emerge pochissimo fra le parole e che spesso non esprimiamo. Di Beckett amo la vertigine sull’abisso che crea la parola, motore vitale, il linguaggio che crea il significato. Giorni felici affronta il dilemma contemporaneo: non c’è più niente da dire ma ho l’obbligo di dirlo. Ogni sera È un atto di devozione poter condividere con il pubblico la gioia e il privilegio di portare in scena questi capolavori».
L’ultimo film italiano che ha girato è stato La tigre e la neve. A dieci anni di distanza non sente la mancanza del set?
«Sono passati molti anni ma non me sono accorta! Faccio ciò che amo e quindi non mi manca nulla».
È una cinefila? L’affascina la rivoluzione del panorama televisivo in voga in questi ultimi anni?
«Mi piace moltissimo vedere e rivedere i film che amo – fra questi Barry Lyndon, Eyes Wide Shut, Stanlio e Olio, tutto Lubitsch e Dreyer e mille mille altri – e le nuove serie televisive. Non riesco a vedermene un’ora al giorno, non potrei aspettare da un giorno all’altro e mi faccio delle grandi scorpacciate. Comincio e non mi fermo più. Di recente ho rivisto Angels in America e ora sto seguendo la seconda stagione di True Detective».
Si fa un gran parlare di disuguaglianza sociale, di sessismo, nella società e di conseguenza anche nell’industria dell’intrattenimento. Lei ha avuto esperienze dirette di questo tipo di discriminazione? L’ha mai combattuta?
«Non ne ho mai avuto esperienza ma come in ogni piccolo gesto che testimoniamo nella vita di tutti i giorni, è importante ribellarsi in modo indefesso. Dobbiamo usare un po’ della nostra vita e delle nostre energie per lottare, anche se va contro il nostro interesse perché può appare una perdita di tempo. Ogni gesto di reazione ha un suo valore anche quando ci sembra che non porti a niente di concreto».
È una femminista?
«Sono una vecchissima femminista, fin da piccola. Oggi mi rende felice vedere che ci sono molte donne al governo e i passi importanti che il femminismo ci ha permesso di compiere. Il bisogno della lotta svanirà soltanto quando non faremo più distinzione di sesso e non ci dovremmo porre più quel problema! Non vedo l’ora che quel momento arrivi».
Lei è dotata di una grazia e un riserbo fuori dal comune. Non è diventata più difficile la vita al tempo dei social e della mercificazione dei sentimenti per chi conserva un tale pudore?
«So veramente poco dei social e della rete in generale. Sento che la vita sta andando da un’altra parte e che c’è una nuova postazione da cui osservare il mondo. Prima o poi mi dedicherò a capire meglio i meccanismi di queste nuove forme di comunicazione così determinanti per la vita comune. Per ora sono ancora una donna del secolo scorso».
Pubblicato originariamente su Vanity Fair Italia