Le star contro il gender pay gap a Hollywood

Si è da poco conclusa un’edizione del Festival di Cannes quasi completamente dedicata alle donne, ai loro disagi esistenziali, alle stranezze, alla vita quotidiana. Dal famoso discorso di Patricia Arquette ai premi Oscar 2015, durante il quale l’attrice di Boyhood recriminava a gran voce l’uguaglianza sociale, a Hollywood le celebrity, da Jennifer Lawrence a Meryl Streep, non hanno smesso di ricordarci quanto siano discriminate e sottopagate rispetto ai propri colleghi. La star di Hunger Games ha scritto un saggio sul pay gap – la differenza di stipendio tra attori e attrici – cui è seguito qualche settimana fa l’appello di Robin Wright che ha chiesto di essere pagata quanto la sua co-star in House of Cards Kevin Spacey.

Moltissime anche le dive impegnate sul versante produttivo – prime fra tutte Angelina Jolie, Natalie Portman, Salma Hayek e Reese Witherspoon. “Se non mi fossi impegnata personalmente”, ha dichiarato l’attrice messicana lo scorso anno a Cannes, “avrebbero continuato a propormi ruoli solo in base alla mia nazionalità”. E aggiunge: “Gli uomini sul set dettano legge. Sono spesso loro a chiedere che venga scelta un’attrice piuttosto che un’altra, secondo il loro indice di gradimento!”.

In loro supporto al momento si sono levate ben poche voci maschili. Robert Redford, Tom Hardy, Matthias Schoenaerts sono tra coloro che hanno presenziato ad eventi per supportare la causa femminile. Per il resto, a parte qualche ritratto apologetico della proprie madri su Instagram e qualche post ad effetto su Facebook il rinforzo maschile latita.

Le vere manifestazioni di solidarietà arrivano invece da oltreoceano. Durante il tour di promozione della sua Julieta, il regista spagnolo Pedro Almódovar, una carriera dedicata all’esplorazione dell’animo femminile, ha definito il sessismo presente nell’industria hollywoodiana “diabolico”.

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“In America stanno perdendo l’opportunità di offrire alle donne ruoli per tutte le età, a parte Meryl Streep poche altre riescono a lavorare con tale continuità e il risultato è che grandi attrici come Susan Sarandon e Jessica Lange si sono rivolte alla tv pur di esprimersi al meglio”.

Ciò nonostante le attrici non sembrano avere alcuna intenzione di schierarsi contro i propri colleghi. A domanda diretta si affrettano a decantare quanta solidarietà e simpatia incontrino da parte del “sesso forte”, lasciando intravedere i limiti della propria denuncia.

A gettare dei dubbi profondi su questa guerra tra sessi non dichiarata sono proprio loro, i cosiddetti privilegiati, attraverso delle dichiarazioni al limite della controversia. Pochi giorni fa, ad esempio, nel corso di un evento pubblico Morgan Freeman si è lasciato andare a dei commenti piuttosto coloriti, scherzando ripetutamente sulla lunghezza della gonna della sua partner di produzione Lori McCreary. L’attore statunitense ha affermato: “Lori vuole essere presa seriamente, non vuole essere considerata solo per il suo bel viso. Certo è difficile distogliere l’attenzione da vestiti così corti”. E ha aggiunto: “Io sono sessista, non misogino”.

Se un attore della vecchia scuola come Freeman (che ha da poco compiuto 79 anni) si è dimostrato ironico sì, ma sicuramente poco incline al cambiamento, a far discutere ulteriormente sono state le parole di Kit Harington (qui l’intervista per Tu Style). In un’intervista rilasciata al Sunday Times la star di Game of Thrones ha asserito che anche un giovane uomo attraente come lui ha avuto modo di sentirsi discriminato. “L’industria è sessista anche nei confronti di noi uomini, avete presente ciò di cui si lamentano le donne? Potrei dire lo stesso quando mi chiedono di svestirmi durante un servizio fotografico”.

L’ironia e la sincerità sono sempre le benvenute, specie nello showbiz, ma in un momento di transazione in cui, dati alla mano, nel 2015 solo il 9% delle donne erano alla direzione dei film di maggiore successo e un misero 28% è operante nel cinema indie – sarebbe lecito aspettarsi, non un aiuto concreto (sarebbe chiedere troppo!), ma quantomeno un po’ di buon senso.

Pubblicato originariamente su Wired Italia

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