Con il suo nome Hollywood le avrebbe forse spalancato le porte in un battibaleno ma Domenica Cameron Scorsese non ama le scorciatoie. È consapevole della portata del suo cognome, il padre Martin Scorsese è uno dei più grandi registi di sempre, autore di indimenticabili capolavori, da Taxi Driver a Toro Scatenato, da Quei bravi ragazzi a The Departed. Il sogno di Domenica però è il medesimo: disegnare il mondo con la macchina da presa.
Sin da giovanissima si è impegnata nella recitazione e qualche mese fa, alla vigilia dei suoi quarant’anni, ha debuttato alla regia di Almost Paris. Il film, che vede protagonista un ex banchiere che torna a casa dopo aver perso il lavoro, ha ricevuto un’ottima accoglienza al Tribeca e tra qualche giorno verrà presentato ai distributori internazionale al Mercato del Cinema del Festival di Cannes. Il traguardo la inorgoglisce e i pregiudizi non la spaventano come ci racconta in quest’intervista in cui si mostra più aperta del solito a raccontarci il rapporto con il padre.
Quanto la spaventano i pregiudizi?
«Nel corso degli anni i giornalisti mi hanno subissato di domande su mio padre. Qualcuno mi ha perfino chiesto di paragonarmi a lui. Da quando sono entrata nell’industria del cinema non ho ancora capito se il mia cognome è una benedizione o una maledizione. Cosa comporta essere la figlia di Martin Scorsese? Attiro l’attenzione degli altri e ho l’opportunità di proporre i miei progetti alle persone giuste. Ma ritengo che alla fine della fiera ciò che conta davvero siano le mie capacità».
Come gestisce le aspettative?
«Ho imparato che non posso controllarle ma sono decisa a mostrare il mio lavoro da regista e fare del mio meglio. C’è chi si aspetta che io sia un genio della macchina da presa e chi si limita a considerarmi una raccomandata. Spero che il mio lavoro parli da solo».
Suo padre le da molti consigli?
«Vengo da una famiglia che ha sempre consigli da dare e di solito sono molto utili. Sia mia madre (Julia Cameron, n.d.r.) che mio padre sono molto presenti nella mia vita e occupandosi entrambi di cinema si sentono in dovere di intervenire. A cena non facciamo altro che parlare dei nostri progetti e supportarci a vicenda. Tutta la mia famiglia ha un ruolo fondamentale nel mio lavoro ecco perché ho dato l’opportunità a mia sorella Francesca di far parte del cast».
Qual è il cinema di cui si è innamorata?
«Lei deve capire che io sono cresciuta in una famiglia di filmmakers, respiro il cinema da sempre. Amo tutti i film di mio padre, ma sono ovviamente di parte. Ho una grande passione per Federico Fellini, Frank Capra, Billy Wilder e i grandi registi del passato. Sono pazza di Sofia Coppola perché nel cinema mi piace molto l’equilibrio tra dramma e commedia».
Lei lavora da tempo come attrice e ha già diretto tre cortometraggi. Come mai ha pensato che questo fosse il momento giusto per il suo debutto alla regia di un lungometraggio?
«Avevo diversi progetti in mente. Il primo tentativo di debutto risale al 2003. Quindi non direi che ho scelto un momento ma che ho impiegato molto tempo prima di concretizzare le mie idee. Voglio fare film che coinvolgano il pubblico da un punto di vista emozionale».
Perché raccontare in tempi di crisi la storia di un uomo di Wall Street?
«Non volevo raccontare solo gli ostacoli che le persone stanno affrontando in questo periodo ma come vengono fuori dai momenti bui. Il cinema si sta dimostrando in grado di raccontare questo cambiamento generazionale – dall’American Dream siamo passati ad una sorta di Mean Street vs Wall Street. Ne sono un esempio film come La grande scommessa o Il lupo di Wall Street di mio padre stesso».
L’uomo di cui lei ci racconta si redime e torna a mettere al primo posto i propri affetti. Li ritiene imprescindibili?
«Senz’altro! Forse ho gli occhi bendati ma rimango ottimista. Il successo arriva prima o poi ma sono le persone che abbiamo intorno, che amiamo e ci amano a fare la differenza e a determinare cosa siamo nel mondo. Dopo l’11 settembre mi sono chiesta chi fossi e cosa volevo dalla vita. Non è detto che tutti trovino risposta alle loro domande ma quello che sentivo a riguardo l’ho inserito nel mio film».
Pubblicato originariamente su Vanity Fair Italia