Hitchcock/Truffaut: a lezione dal maestro

Nella libreria di un qualsiasi cinefilo che si rispetti non può mancare Il cinema secondo Hitchcock di François Truffaut, ovvero il risultato di un’intervista di otto giorni che il maestro del brivido concesse al cineasta francese. Dal 4 al 6 aprile, grazie alla distribuzione di Cinema e Nexo Digital, gli amanti del cinema avranno la possibilità di rivivere le emozioni di quello storico incontro attraverso il documentario Hitchcock/Truffaut di Kent Jones.

Dal 1966, anno di pubblicazione del libro, ad oggi quel testo è diventato imprescindibile per i cultori della settima arte, un manuale per i registi di tutto il mondo. Molti di essi sono intervenuti nel documentario di Jones per omaggiare Hitchcock e ancor di più l’importanza di quel testo nella loro formazione artistica. Wes Anderson ammette di averlo materialmente disintegrato a furia di leggerlo mentre il regista giapponese Kiyoshi Kurosawa lo reputa a tutti gli effetti la sua bibbia.

Martin Scorsese e Peter Bogdanovich, i più agée della compagnia, raccontano con grande emozione le uscita in sala de La donna che visse due volte, Gli uccelli o Psycho. Il regista di Taxi Driver spiega quanto il coraggio di Hitchcock abbia contribuito a liberare la sua vena creativa e quella di tanti suoi coetanei, che fino agli Cinquanta non credevano fosse possibile andare contro i parametri imposti dall’establishment hollywoodiano.

Non è una sorpresa constatare come parte della critica cinematografica britannica e statunitense dell’epoca bersagliasse Hitchcock, accusandolo di cinismo, disonestà e di profondo disprezzo per il mondo. Gli altri si limitavano a relegarlo alla sfera dell’intrattenimento, ai tempi considerato una forma d’arte minore.

L’uscita de La finestra sul cortile fu un duro colpo all’ipocrisia dei benpensanti ai quali Hitchcock rispose: “Niente avrebbe potuto impedirmi di girare questo film perché il mio amore per il cinema è più forte di qualsiasi morale”.

Allo stesso Truffaut, che per primo insieme ai colleghi di Cahiers du cinema ne aveva riconosciuto la grandezza, toccò prenderne le parti per proteggerlo da erronei giudizi. “Il cinismo, che può essere reale in un uomo forte, non è che una facciata nelle persone sensibili”. Fu proprio la sua sensibilità e il grande amore per il cinema e per la libertà che li accumunava a convincere Hitchcock ad accettare l’intervista.

La rivoluzione del suo cinema passò proprio attraverso le parole di Truffaut che mantenne la sua promessa facendolo riconoscere da tutti come il più grande regista vivente.  Il loro confronto, per nulla riverente, ma vivace e brillante, servì anche a sottolineare le loro sostanziali differenze culturale e artistiche attraverso lo studio meticoloso di tutti i film girati dal maestro fino a quel momento.

Truffaut era reduce dal suo successo de I 400 colpi, ispirato alla sua dolorosa infanzia e alla incondizionata voglia di libertà. Se Hitchcock viene descritto come un geometra che disegna con la macchina da presa ma ha una scarsa considerazione delle opinioni e dei sentimenti dei suoi attori, al contrario il francese non amava il controllo nel cinema ed era un promotore del dialogo e dell’improvvisazione.

Tutto accade nei suoi film come se si trattasse per Hitchcock di impedire alla banalità di insediarsi sullo schermo”, evince Truffaut al quale Hitchcock confidò di trovare la logica abbastanza noiosa.  Il suo modello assoluto era il cinema muto, che aveva sperimentato e studiato per anni. Ecco perché nei suoi film l’immagine è imperante mentre la parola è il più delle volte quasi superflua.

Hitchcock faceva parte di un’altra famiglia, quella di Chaplin, Stroheim, Lubitsch. Alla pari di essi, non si è accontentato di praticare un’arte, ma si è impegnato ad approfondirla, a coglierne le leggi, più strette di quelle che governano il romanzo. Hitchcock non ha solo reso più intensa la vita, ha reso più intenso il cinema”.

Pubblicato originariamente su Wired Italia

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