«Ero solo una bambina ma già sapevo che mi sarei battuta contro quell’ingiustizia. Dovevo solo capire come, dove e quando avrei cominciato». Così Waris Dirie, ex modella somala dalla bellezza statuaria e attivista contro la mutilazione genitale femminile, ci racconta cosa provò quando fu lei stessa a subire questo terribile trauma.
Scappata dalla sua terra, attraverso il deserto, per sfuggire ad un matrimonio combinato a soli 13 anni, mai avrebbe immaginato che di lì a breve sarebbe diventata una specie di rockstar, calcando le passerelle delle maison più prestigiose al mondo e ottenendo perfino una parte nel film 007 – Zona pericolo della saga di James Bond.
Ma non era abbastanza, non per una donna con un fardello nell’anima come il suo. Nel 2002 Kofi Annan l’avrebbe nominata ambasciatrice speciale dell’ONU contro l’infibulazione. La sua storia è raccontata nel libro Desert Flower – Fiore del deserto, a cui è ispirato l’omonimo film (nei cinema dal 14 aprile).
Che cosa ne pensa del risultato complessivo del film e quali soddisfazioni le ha dato?
Il film è stato distribuito in 38 paesi e visionato in tutta l’Africa. È lo strumento più potente che abbia sperimentato per rendere le persone consapevoli di questo brutale crimine che sono costrette a subire piccole bambine innocenti. Le più grandi organizzazioni umanitarie del mondo, UNICEF, UNHCR e il Dipartimento di Stato americano hanno inserito il film nei loro programmi di educazione nel mondo.
Non è stato doloroso ripercorrere la sua infanzia?
La parte più dolorosa è stata rivedermi mentre lasciavo la mia famiglia e sapere che non li avrei rivisti che per i successivi vent’anni.
Riesce ad avere un rapporto sereno con le sue origini nonostante la sofferenza che le hanno inflitto?
Sì, oggi mia madre è al mio fianco per combattere la battaglia contro la mutilazione genitale.
Quali sono stati i momenti più difficili della sua vita e in che modo ha trovato la forza per reagire?
Il momento di maggiore pericolo è stata la mutilazione vera e propria. Ero solo una bambina. Sono quasi morta dallo shock, la perdita di sangue e l’infezione. Mi venne la febbre molto alta. Quando mi ripresi capii subito che si trattava di una cosa sbagliata e non della volontà di Dio.
Che tipo di resistenze incontra la sua fondazione?
Ora non molte. All’inizio ricevevamo talmente tante minacce dai fanatici religiosi che avevamo bisogno della protezione della polizia. Oggi ho l’impressione che le persone abbiano finalmente compreso che bisogna porre fine a questa barbarie.
Lei ha lavorato per anni nel mondo della moda. Quali sono i pro e i contro di quell’industria?
Sono stata fortunata a lavorarci tra gli anni Ottanta e Novanta, un’epoca d’oro per le top model. Ci trattavano come delle dive hollywoodiane o delle pop star e noi ci comportavamo come se lo fossimo. È stato divertente. Ho avuto l’opportunità di viaggiare per il mondo, posare per i servizi fotografici ed essere perfino pagata per farlo. Ma quella vita per me era superficiale e avevo bisogno di dare un senso alla mia esistenza. L’ho trovato nella mia battaglia.
Quanto c’è ancora da fare per sconfiggere la terribile pratica dell’infibulazione?
La mutilazione genitale femminile è praticata da 4000 anni e oggi più di 200 milioni di donne subiscono questa tortura. Ognuno di noi ha il dovere di fare qualcosa perché questo non avvenga. Porto avanti questa causa dal 1997 e vedo finalmente la luce in fondo al tunnel.
Lei può esser considerata un esempio per le donne di tutto il mondo. Perché continuiamo ad essere considerate il sesso debole?
Perché viviamo in una società patriarcale, piena di violenza, di guerre e distruzione. Le donne non dovrebbero essere trattate alla pari degli uomini ma sostituirli. Qualcuno dovrà pur fermare questa follia prima che sia troppo tardi.
Pubblicato originariamente sul settimanale Tu Style