Lo chiamavano Jeeg Robot: ancora qualche giorno e i cinefili italiani avranno il loro tormentone. Dopo la standing ovation alla Festa del Cinema di Roma e il plauso unanime della critica il 25 febbraio il film debutterà nelle sale. L’artefice di questo piccolo miracolo cinematografico risponde al nome di Gabriele Mainetti, classe 1976, un passato da attore di fiction e un promettente futuro dietro la macchina da presa.
Le premesse non erano poi così esilaranti: un’attrice protagonista debuttante proveniente dalla casa del Grande Fratello (Ilenia Pastorelli), un supereroe altamente improbabile (Claudio Santamaria in sovrappeso), un antagonista canterino particolarmente kitsch (Luca Marinelli) e la classica ambientazione periferica romana.
Facilmente questi elementi avrebbero potuto confluire in un calderone di volgarità e invece, grazie alla dedizione e alle capacità degli sceneggiatori Nicola Guaglianone e Menotti e del neo-regista, l’ardito progetto si è trasformato in un’esaltante divertissement, misurato nella sua scostumatezza, a suo modo tenero, emozionante e irriverente.
È così che la cosiddetta generazione Bim Bum Bam degli anni Ottanta rivendica il suo posto nella nostra industria del cinema, o presunta tale, che ancora troppo ostacoli oppone ai giovani talenti e al loro coraggio. Ne sa qualcosa lo stesso Gabriele Mainetti.
Che cosa l’ha infastidita maggiormente del rifiuto dei produttori italiani?
Ho bussato alla loro porta per mesi con il soggetto di Guaglianone. Alcuni si rifiutavano di incontrarmi, altri mi suggerivano di scrivere la sceneggiatura come se non ci volessero competenze specifiche per farlo! C’è stato perfino chi pretendeva che fossi io a trovar loro i finanziatori. Questi atteggiametnto mi hanno intristito, specie dopo essermi distinto per alcuni dei miei corti.
I corti sono stati una palestra?
Ho avuto la fortuna di trascorrere un periodo in America dove il cortometraggio è come il biglietto da visita di un regista. Tutt’altro discorso in Italia: quando il mio corto Tiger Boy è entrato nella shortlist per ricevere la nomination agli Oscar non ne ha parlato nessuno. È vero che non sono riuscito ad accedere alla rosa finale dei candidati, ma la verità è che da noi i cortisti vengono considerati meno di zero. I nominati ai David di Donatello non vengono neanche invitati alla cerimonia di premiazione!
Perchè crede che nessuno volesse darle fiducia?
Mi rendo conto che un film su una dissociata che crede che il mondo sia popolato dai cartoni di Jeeg Robot d’acciaio, un uomo che si ciba di budini e acquisisce superpoteri, e una sottotrama sulla mala romana tra dramma e commedia possa incutere una certa paura produttiva.
A quel punto ha deciso di fondare la sua casa di produzione?
Sì, un’avventura che ha dell’ assurdo però ho avuto la fortuna di essere seguito da Jacopo Saraceni che è un esperto in materia di produzione. Abbiamo ricevuto il finanziamento della regione Lazio ma, come può immaginare, il budget che avevamo a disposizione era molto basso. Eravamo ricchi del nostro entusiasmo e della nostra passione. Per un progetto altrettanto brillante lo rifarei, altrimenti ci penserei due volte.
Il suo debutto alla regia coincide con il suo quarantesimo compleanno. Solo in Italia la consideriamo un giovane cineasta…
Qui tocca una nota dolente. Sa che noi registi siamo infinitamente più narcisisti degli attori. Rivendico di aver cominciato a girare il film a 37 anni. Dai 19 ai 30 ho lavorato come attore in molte fiction che considero un bagaglio di esperienze. Rimpiango solo di aver sprecato i sette antecedenti alla realizzazione di Jeeg Robot.
Il suo supereroe è timido, goffo e poco rassicurane: il contrario del modello a cui ci ha abituato Marvel. Non lo definirebbe un anti-supereroe?
Sì, esattamente. Enzo Ceccotti (il protagonista, n.d.r.) è un anti-supereroe per più della metà del film. Odia l’umanità ed è perfino un delinquente. Sarà l’incontro con l’altro ad annullare la sua dissociazione dal mondo. Abbiamo tentato la strada dell’originalità ed evitato di rubare il posto allo spettatore. La stessa periferia romana in cui si muovono i protagonisti è immaginata come periferia del mondo, per questo mi auguro che il film piaccia a Roma tanto quanto a Brescia.
Secondo Roger Ebert un’opera cinematografica è valida in rapporto alla credibilità del suo villain. Come nasce lo Zingaro intepretato da Luca Marinelli?
Nella prima fase di scrittura era molto diverso, un povero sfigato. Nicola ci ha lavorato moltissimo prima di sviluppare l’identità definitiva dello Zingaro. Il resto è merito di Marinelli, un attore indomabile che ad un certo punto ha solo bisogno di essere lasciato libero di esprimersi sul set.
Perchè ha scelto proprio ad un’ex gieffina per il volto femminile del film?
Ilenia Pastorelli è stata notata da Nicola. Ai provini non aveva rivali. Il suo mondo interiore mi ha colpito. Nel film non interpreta solo una Cenerentola che continua a sorridere alla vita ma una donna che lotta come un leone e che crede nelle potenzialità del supereroe prima di tutti gli altri. Un po’ come fa nella vita, al di là dei pregiudizi e delle impressioni che possa suscitare.
I soggetti di Nicola Guaglianone sono caratterizzati da uno sguardo fanciullesco. Che cosa avete in comune lei e il suo sceneggiatore?
Io e Nicola ci compensiamo. Collaboriamo da 20 anni e crediamo l’uno nell’altro. Quella della Candy Candy di periferia è un’idea di Nicola che ha un debole per i personaggi candidi, che continuano ad avere la meraviglia negli occhi nonostante le brutture della vita. Io ristabilisco un po’ gli equilibri inserendo elementi che appartengono alla tragicità del presente.
Prima di Lo chiamavano Jeeg Robot è uscito Il ragazzo invisibile di Gabriele Salvatores, spacciato da molti come il primo film del genere supereroistico italiano. Lei cosa ne pensa?
Mi astengo dal giudizio ma ammetto che inizialmente l’annuncio di un film dello stesso genere ci ha impanicati. Subito dopo averlo visto, al primo spettacolo del giorno dell’uscita nelle sale, mi sono subito tranquillizzato: il mio e il suo film non hanno nulla in comune.
E se il suo fosse un flop?
Non sono famoso per essere ottimista ma cerco di essere realistico. So che molti appassionati di cinecomics attendono con ansia l’uscita del film e mi auguro che la gente abbia il coraggio e la voglia di dare fiducia ad un progetto alternativo.
Pubblicato originariamente su Il Giornale OFF