I capelli biondi corti e la bellezza eterea ricordano Grace Kelly, il carisma e la luminosità la accomunano sempre più all’inarrivabile Meryl Streep: Cate Blanchett in Carol è una visione. Avvolta in un’elegante pelliccia l’attrice australiana fa il suo ingresso nel film di Todd Haynes, un’armoniosa danza del desiderio dove interpreta una conturbante borghese nella New York degli anni Cinquanta.
Questo prima che il suo sguardo possa incrociare quello della giovane Therese Bellivet (Rooney Mara) che lavora come commessa in uno negozio di Manhattan ma sogna di diventare fotografa.
L’attrazione è immediata e reciproca. La tensione sessuale diventa percettibile in una frazione di secondo. Entrambe sono ancora inconsapevoli di ciò che dovranno affrontare per difendere quel rapporto di amicizia/amore che nascerà da lì a poco.
Therese è spinta dalla curiosità ma frenata dalla paura. E’ ancora troppo giovane per capire chi è: “A stento so cosa ordinare per pranzo. Non so cosa voglio. Dico sì a tutto”, ammette il giorno del loro primo appuntamento.
Ma chi può resistere a questa Cate Blanchett, sensuale e sofisticata negli splendidi abiti ideati dalla costumista premio Oscar Sandy Powell e un trucco che mai come in questo film la rendono un’icona di stile?
Incontrarla di persona subito dopo averla ammirata sul grande schermo fa un certo effetto ma, sebbene ami guardare dritto negli occhi il proprio interlocutore, il suo sguardo appare insondabile tanto quanto quello di Carol.
Non nasconde il suo attaccamento al film, adattamento di un romanzo minore di Patricia Highsmith, scrittrice di Il talento di Mr. Ripley e Strangers on a Train. A Hollywood hanno preferito tenere il progetto chiuso nel cassetto per oltre 15 anni prima che una produzione indipendente si facesse avanti.
Il motivo? “Molti produttori continuano a credere stupidamente che il pubblico non sia interessato ai film con donne protagoniste quando invece è l’audience femminile a determinare in larga parte il loro successo al box-office”.
Lei, al contrario, adora le scommesse. Lo ha dimostrato fin dall’inizio della sua carriera cinematografica quando nel 1998 al provino per Elizabeth di Shekhar Kapur sbaragliò la concorrenza delle allora più quotate Gwyneth Paltrow e Nicole Kidman e conquistò la parte della regina vergine.
Ammette che quel passo arrivò con una certa inconsapevolezza: “Dopo l’accademia di arte drammatica non sapevo neanche se avrei girato un solo film. Ho sempre sperato di avere una lunga carriera a teatro. Per questo ogni volta che giro un nuovo film è come una sorpresa”.
Due anni più tardi, nel pieno della sua ascesa, fece un passo indietro per gestire la propria compagnia teatrale. Molti credettero che non avremmo più sentito parlare di lei. Dovettero ricredersi quando nel 2004 si aggiudicò il primo Premio Oscar per il ruolo di Katherine Hepburn in The Aviator di Martin Scorsese e nel 2013 il secondo per Blue Jasmine di Woody Allen.
I soli trentacinque giorni di riprese sono bastati per fare di Carol un capolavoro, conquistare l’attenzione dell’elite del Festival di Cannes, dove Rooney Mara ha vinto la Palma d’Oro per la migliore interpretazione e per segnalare ancora una volta il talento dell’attrice australiana all’Academy.
Il suo virtuosismo le è valso altri due ruoli di primo piano negli ultimi dodici mesi: la matrigna di Cenerentola nell’adattamento live action di Kenneth Branagh e la giornalista Mary Mapes nel film sul giornalismo investigativo Truth con Robert Redford.
Quest’ultimo torna su un terreno famigliare a quarant’anni dal successo di Tutti gli uomini del presidente sull’inchiesta del Washington Post legata allo scandalo Watergate.
Cate Blanchett ne è rimasta estasiata: “E’ stato un sogno. E’ un uomo affascinante, curioso del mondo ed estremamente partecipe. La sua naturalezza davanti la macchina da presa è disarmante”. Lui, Redford, non è stato da meno: “Pensavo fosse brava ma è la migliore!”.
Puntando su uno dei due film Carol si distingue grazie ad una storia struggente raccontata con tale semplicità da riuscire a cogliere l’essenza di una qualsiasi storia d’amore, gay o etero che sia, impossibilitata dalle circostanze.
Le scelte stilistiche di Todd Haynes, che per ricreare la New York di quegli anni si è ispirato alle fotografie di Vivian Maier, rendono la liaison meno isterica e ormonale e più universale e senza tempo, trasgressiva nella sua purezza.
La ricercatezza del film ha colpito Cate Blanchett che rifiuta facili paragoni o categorizzazioni: “Avevamo ambizioni diverse rispetto a La vita di Adele, fantastico ma più incentrato sull’eros. Noi non abbiamo etichettato la sessualità di Carol perché lei non è esistita in un’epoca dove c’era una definizione per le donne che provavano i suoi stessi sentimenti”.
Per interpretarla ha messo in campo tutte le sue doti e la sua professionalità, quasi maniacale, a partire dalla cura della pronuncia. “Ascolto molte registrazioni diverse e cerco di trovare qualcosa che si adatti in modo naturale al mio tono di voce. E’ quasi come imparare una nuova lingua e deve essere in sintonia con la personalità del personaggio, il modo in cui muove, la sua apparenza”.
Sorprendentemente alcuni dei registi con cui ha lavorato sostengono che alle volte questa donna, a primo impatto seducente e irreprensibile, sul set sia talmente insicura da risultare intrattabile nonostante le continue rassicurazioni sulla sua bravura.
A mandarla in crisi non è stata certamente la scena di sesso che condivide con Rooney Mara che, al contrario, si è detta intimidita anche solo dalla prospettiva di recitare al suo fianco.
“La scena di intimità era una parte fondamentale del film ma per me non aveva nulla di diverso dalle altre. Il fatto che la mia partner fosse una donna non ha cambiato niente. Il mio obiettivo come attrice è riprodurre un’esperienza veritiera, in cui il pubblico possa identificarsi”.
Trattandosi di un amore omosessuale alcuni giornalisti si sono sentiti autorizzati a chiederle se avesse mai avuto rapporti con una donna. La sua risposta “sì, molte”, nel corso di un’intervista rilasciata a Variety, ha suscitato non pochi clamori.
Nel chiarire la sua posizione – di donna eterosessuale mai andata a letto con un’altra donna – la Blanchett si è detta basita nel constatare quanto le persone siano ancora interessate a dettagli di questo tipo.
Pur considerando la nostra società ancora profondamente conservatrice crede che oggi ci sia una maggiore apertura nei confronti dei gay e che il film non avrà lo stesso impatto che avrebbe avuto se fosse uscito 15 o 20 anni fa.
Applica più o meno lo stesso criterio quando discute la mancanza di pari opportunità ad Hollywood. Ha molta fiducia nelle sue colleghe, tra cui Reese Witherspoon e Natalie Portman, che con un grande impegno nella produzione cominciano a facilitare il lavoro delle altre attrici ma tiene a precisare: “La nostra battaglia non è volta a denigrare gli uomini. Credo che anche loro potrebbero trarne dei benefici. E’ da pigri pensare di escludere le donne dalla conversazione perché la rende monocromatica”.
Oggi al centro della vita dell’attrice quarantaseienne ci sono suo marito, il regista teatrale Andrew Upton al quale è legata dal 1997, e i suoi quattro figli.
Il matrimonio poggia su solide basi: lo sconfinato amore per l’arte. La coppia produce il lavoro di molti autori australiani che non hanno la possibilità di farsi conoscere a livello internazionale ma è sempre aperta a nuove occasioni: “Siamo dei privilegiati a poterci permettere di prendere del tempo per lasciarci sorprendere”.
Fino a qualche tempo fa si sono occupati della direzione artistica Sydney Theatre Company ma ora soffia il vento del cambiamento. Blanchett e consorte starebbero pensando di trasferirsi da Sydney a Los Angeles ma l’imprevedibile attrice potrebbe considerare altre opzioni.
“Mi piacerebbe andare a vivere in Islanda. Primo perché credo nelle favole e secondo perché amo le terre vulcaniche. Dovrei prima consultarmi con la mia famiglia. Abbiamo una vita sola ma io non sono sola, ho la mia piccola troupe.”
Originariamente pubblicato su Amica.it
Non molti parlano di questo film bellissimo. Tu lo ha l’hai fatto due volte. Secondo me meritava più successo di quanto ne abbia avuto. Sono convinta che agli uomini non interessino le storie di donne. Alle donne, se il film si presenta il film come un melò, e non una storia lesbica – odio le etichette! – potrebbe interessare, ma a quanto pare qualcosa non ha funzionato nella pubblicità. Sarà rivalutato con il tempo, sono sicura.
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