Dopo la carismatica rocker di Dove Eravamo Rimasti Meryl Streep interpreta la celebre attivista britannica Emmeline Pankhurst nel film Suffragette che racconta la lunga battaglia delle donne per ottenere il voto politico
Le spesse lenti degli occhiali da vista non nascondono la luminosità di Meryl Streep che quest’anno ha irradiato con il suo carisma la prima giornata del London Film Festival.
Al suo fianco, angelica e minuta, Carey Mulligan la guarda ammirata nonostante sia lei l’assoluta protagonista di Suffragette, pellicola scelta per inaugurare i festival di Londra e Torino.
Nel film l’attrice più talentuosa di Hollywood interpreta Emmeline Pankhurst, celebre attivista inglese che si batté per i diritti delle donne a capo del movimento suffragista all’inizio del secolo scorso.
La Pankhurst compare solo in un paio di scene del film sebbene la sua figura sia più che determinante. Come mai? “E’ la domanda che mi sono posta fin dal primo momento”, scherza la Streep.
“Se avessimo scelto di dedicarle un film biografico avremmo raccontato la storia di una donna eccezionale” – ci spiega la regista Sarah Gravon – “il nostro obiettivo era invece condividere con il pubblico le vite di donne ordinarie, con le quali sarebbe stato più facile immedesimarsi”.
“Suffragette è più attuale che mai”, parola di Meryl Streep che ci ha raccontato quanto ancora oggi sia seccata dallo strapotere maschile nella nostra società.
Conosceva bene la storia delle suffragette?
Sì, ma quella americana, meno quella inglese. Non sapevo molto della condizione femminile in Inghilterra così come mi ha scioccato scoprire che le donne potevano essere costrette a sposarsi dall’età di 12 anni e che tutto ciò che gli apparteneva diventava di proprietà del marito.
Crede che al grande pubblico siano familiari?
Assolutamente no! Penso che perfino il loro nome sia estraneo alle persone comuni. Il termine Suffragette porta tutti a credere che sia qualcosa che abbia a che fare con la sofferenza. Questo è sicuro ma credo che le persone non conoscano la battaglia intrapresa da queste donne di cui continuiamo a raccogliere i frutti.
Perché il film sembra così moderno?
Le suffragette fanno parte del nostro presente. Mia nonna, per esempio, non aveva il diritto di votare. Il film non sceglie di raccontare la storia di una donna borghese ma di una lavoratrice. La lavandaia che interpreta Carey Mulligan è una donna in cui tutte si possono riconoscere. Un film come Suffragette incoraggia le persone che in questo momento nutrono poca speranza nel futuro a battersi per i propri diritti.
Che cos’è che la fa arrabbiare della nostra società?
Detesto che noi donne siamo costrette a subire le decisioni degli uomini. Siamo escluse da qualsiasi dibattito. Basti pensare alla chiesa, una lobby che ci esclude da tutto. Noi cerchiamo di emanciparci, siamo più numerose degli uomini nelle facoltà di Business e Legge ma poi prendiamo noi le decisioni in questo mondo? No!
Non siamo padrone del nostro destino?
Le faccio un esempio. Quando il pubblico in America deve scegliere che film andare a vedere al cinema consultato un portale online che si chiama Rotten Tomatoes. Ho fatto una ricerca e ho scoperto che tra gli utenti autorizzati a recensire ci sono 168 donne contro 760 uomini. Il circolo dei critici americani conta 37 uomini e solo due donne. Ora io dico che donne e uomini non sono uguali, possono avere gusti diversi o meno, ma questi numeri dimostrano quanto gli uomini influenzino le nostre scelte e quanto perfino al box office siano loro a comandare. Questo mi fa infuriare soprattutto perché c’è chi accetta le cose così come sono, per quanto sbagliate esse siano.
Però negli Stati Uniti si sono arrabbiati quando ha dichiarato di non essere femminista…
Vorrei essere giudicata in base alle mie azioni e non dalle mie parole. Questo è tutto ciò che ho da dire a riguardo.
Oggi a chi paragonerebbe Emmeline Pankhurst come eroina del femminismo moderno?
Senza dubbio Malala Yousafzai (attivista pakistana diventata la più giovane vincitrice del Premio Nobel per la Pace, n.d.r.).
Pubblicato originariamente su Vanity Fair Italia