Ninetto Davoli stronca il Pasolini di Abel Ferrara: “semplicistico”

In occasione della presentazione del film Pasolini di Abel Ferrara, in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, abbiamo avuto il piacere di intervistare un pimpante Ninetto Davoli. L’amico storico di Pierpaolo Pasolini ci ha raccontato i retroscena del film Uccellacci e Uccellini con Totò, il suo rapporto speciale con l’intellettuale bolognese e ci ha svelato il suo personale parere sul film del regista italo-americano.

Ripercorriamo gli inizi della tua carriera, come è avvenuto l’incontro con Pierpaolo Pasolini?

Per me è stata una manna caduta dal cielo. Ero un semplice falegname e restauratore, infatti tutt’ora amo il lavoro manuale. Passeggiavo insieme ai miei amici ad Acqua Santa, dove i romani festeggiano varie ricorrenze. L’occhio mi è caduto su una collinetta, e proprio lì c’era Pierpaolo che girava La Ricotta. Mio fratello lavorava al film come attrezzista e prima mi ha sgridato, poi mi ha presentato Pasolini. Io non sapevo affatto chi fosse, ed ero molto intimidito da quel mondo tanto diverso dal mio. Pasolini mi ha sorriso e mi ha accarezzato la testa . Mi è subito stato simpatico perché era affabile e gentile.

Qual è stato il momento più OFF della tua carriera da attore?

Quando Pasolini mi mandò a chiamare da mio fratello, per offrirmi una piccola parte ne Il Vangelo secondo Matteo. Accettai di farlo solo perché non avrei dovuto dire neanche una parola. Poi tutto il resto è stato come vivere un sogno.

Qual è la differenza tra il cattolicesimo di Pierpaolo Pasolini e quello di Abel Ferrara?

Pasolini era un credente, a modo suo. Il Vangelo Secondo Matteo è considerato dal Papa uno dei migliori film religiosi di sempre. Pierpaolo non era cattolico, ha sempre considerato Cristo come un uomo normale e lo individuava nelle persone che compivano azioni buone. Quando uscì, Il Vangelo è stato attaccato su tutti i fronti perché si riteneva che mostrasse un Cristo violento, mentre quello che voleva fare Pierpaolo era umanizzarlo con tutto ciò che questo comporta, compresa la rabbia. Non conosco Abel così bene, lui è molto stravagante e non mi sembra che creda ai santi ma piuttosto che abbia una certa fiducia nel prossimo. Non è un predicatore ma una persona molto sensibile. Sono due estrazioni completamente diverse le loro.

Secondo Ferrara il film Pasolini non sarebbe piaciuto allo stesso, tu che ne pensi?

Io credo che l’avrebbe trovato curioso e che qualche consiglio gliel’avrebbe dato, sia da un punto di vista umano che intellettuale. Secondo me avrebbe dovuto approfondire di più alcuni aspetti. Purtroppo un film sulle ultime ventiquattro ore di Pierpaolo non comprende un tempo sufficiente per descrivere uno come lui.

Nel film sono presenti anche alcuni progetti che aveva in mente Pasolini.

Sì, c’era questo Porto-Teo-Kolossal con me ed Eduardo De Filippo come protagonisti. Esiste proprio una sceneggiatura di quel film, prevedeva un viaggio alla ricerca della stella cometa che partiva da Napoli e arrivava in Oriente, percorrendo tutte le grandi città. Una coppia che richiamava quella di Uccellacci e Uccellini con un percorso diverso. E poi voleva fare il San Paolo e pensa che cosa ne sarebbe venuto fuori se ci fosse riuscito!

Perché è stato un americano il primo a fare un film su Pasolini?

Abel ha sempre avuto il pallino di fare un film su Pierpaolo, sono anni che me ne parla. In Italia ci ha provato Marco Tullio Giordana, ma penso non esista una persona all’altezza di raccontare una figura come quella di Pasolini. Tutti si attengono agli atti giudiziari e alla biografia a grandi linee. Quello che penso sinceramente è che se ci fosse qualcuno all’altezza di raccontare chi era veramente Pierpaolo, alle persone neanche piacerebbe. La gente difficilmente accetterebbe la verità: Pasolini era drastico, un mulo con i paraocchi. Andava avanti senza ascoltare nessuno. In vita è stato amato così come tanto odiato. Le persone erano ipocrite allora e lo sono ancora oggi, e un pensiero forte come il suo continuerebbe a essere rifiutato. Lui odiava l’ipocrisia e considerava l’Italia un paese di gente incolta, ignorante, povera e senz’anima.

Come avrebbe vissuto Pasolini in quest’Italia contemporanea?

Avrebbe vissuto male. Già quarant’anni fa volevamo andare a vivere in Marocco, volevamo scappare. Oggi avrebbe continuato a provocare e combattere fino all’ ultimo.

E’ vero che ti ha tenuto fuori dal cast di Salò e le 120 giornate per non farti incorrere in qualche denuncia legata ai forti contenuti del film?

No, assolutamente. Se non sono in quel film è perché non c’entravo niente con quell’ambiente. Secondo lui il mio animo non apparteneva a quel mondo. Poi per la mia reazione istintiva in quel film mi avrebbero ammazzato subito!

Dopo esserti confrontato con un pensatore come Pasolini, come affronti il presente?

PasoliniSento moltissimo la sua mancanza, è un dolore che custodisco dentro di me. Ogni volta che mi succede qualcosa penso sempre a come l’avremmo affrontata insieme. Il presente è difficile, però devo andare avanti. Cerco di adeguarmi, ma se una cosa non mi piace o non mi stimola abbastanza non la faccio. Non farei mai cose che non sarebbero piaciute a Pierpaolo.

Il film Pasolini che stimolo ti ha dato?

Nessuno stimolo, nessuna emozione. Il mondo che ha descritto Abel Ferrara è un mondo che conosco e Laura Betti o la mamma di Pasolini, Susanna, non c’entrano niente con le attrici che le hanno interpretate. Per carità, gli attori sono bravi ma a me che li ho conosciuti dà quasi fastidio questa rappresentazione. L’unica emozione è stata la somiglianza tra Willem Dafoe e Pierpaolo. Mi ha impressionato. Gli ho dato molti vestiti di Pierpaolo che custodisco gelosamente, e anche la catenina che gli aveva regalato Maria Callas e a cui lui teneva molto. Quando gliel’ho data, Willem ha voluto che gliela mettessi io quasi come un’incoronazione. Vederlo vestito come lui mi ha dato un brivido d’emozione e poi la sua bravura è indiscutibile.

Tra le cose che ti hanno dato particolarmente fastidio c’è anche il modo in cui è stato trattato l’ultimo momento di vita di Pasolini?

Sì, mi ha dato fastidio perché il film è semplicistico. Raccontare Pierpaolo non è facile, specialmente partendo dalle ultime ventiquattro ore. Non basterebbero dieci film per ricordarlo. Bisogna accettare quello che Abel è riuscito a mettere insieme e l’idea di rappresentare un uomo e una realtà che si avviava verso un futuro catastrofico.

Abel Ferrara ha detto che non c’è mistero sulla morte di Pasolini. Concordi con lui?

Io definisco la morte di Pierpaolo casuale. Per lui è stata una notte sfortunata. Non è vero che lui voleva morire. Pierpaolo aveva una vitalità strepitosa e ancora tanto da dare.

Non hai trovato il film a tratti indelicato?

Raccontando le ultime ventiquattr’ore, era naturale che si arrivasse anche alla sua morte. I fatti sono andati in quel modo. Quello che non mi è piaciuto sono stati i riferimenti al romanzo Petrolio. Ferrara ha inserito quegli episodi del romanzo perché assecondano la loro morbosità. Sono tutti pettegolezzi. Petrolio non era compiuto, ci sono rimasti solo degli appunti ma la gente trae presto le sue conclusioni. Perché non hanno preso altri racconti tratti da Petrolio e proprio quello legato a un ragazzo omosessuale? Perché le persone lo trovano più stuzzicante e attira di più l’attenzione. A me questo proprio non piace. Perché non hanno raccontato l’amore di Pierpaolo per la vita, il suo amore per lo sport, per il cibo, la sua allegria, i suoi viaggi? Perché non fa notizia!

L’anno dopo Il Vangelo secondo Matteo, Pasolini ti chiese di essere il protagonista di Uccellacci e Uccellini?

Ho tentennato molto prima di accettare, soprattutto perché avrei dovuto parlare. Gli dicevo: “Guarda che io poi non mi ricordo niente” e lui mi rispondeva: “Tranquillo Ninetto che ti diverti e ti pagano anche”. Io venivo da una famiglia povera, vivevo nelle borgate romane e il fatto che mi pagassero per lavorare con una star del cinema come Totò mi sembrava assurdo.

Che rapporto avevi con Totò?

Ninetto TotoPer i primi giorni ho vissuto con molto imbarazzo l’incontro con una personalità come la sua. Lui era carino, mi spronato e instradato nel mondo del cinema. Mai avrei pensato ad una carriera d’attore. Non avevo mai ricevuto tante attenzioni in vita mia, improvvisamente mi sono ritrovato super coccolato e al centro dell’attenzione sua e tutti gli altri. Dopo dieci giorni ho capito che era una persona buona, ho iniziato considerarlo quasi una figura paterna e mi sono lasciato andare.

Totò si è dovuto molto adeguare alla personalità di Pasolini.

Totò aveva in mente da diverso tempo di fare un film importante e quando gli è stato proposto questo ruolo ha accettato in modo meraviglioso. Pasolini voleva Totò a patto che facesse quello che voleva lui, e questo ha messo Totò molto in difficoltà. Gli diceva: “Maestro, ma non posso usare altre espressioni per dire certe cose così contorte?”. E Pasolini cercava di fargli capire che non erano così contorte come pensava.

Eri consapevole del valore del film che stavate girando?

No, io non avevo neanche la sceneggiatura. Eseguivo le battute come dicevano di fare. Non capivo il significato delle parole. La prima volta che ho visto il film ho fatto fatica a capirlo, e come me anche gli altri spettatori. Era insolito. I critici non lo capivano e ritenevano Pasolini un matto. Oggi, a distanza di anni, è talmente attuale che sembra sia stato girato ieri.

Gianni Amelio ha realizzato recentemente il suo documentario sull’omosessualità, Felice chi è diverso, che ti vede tra i protagonisti.

Sì, quello è un documento importante ma è assurdo che ancora oggi si discuta dell’omosessualità. E’ qui che sta l’ipocrisia delle persone che fingono di essere moderni e poi alla prima occasione non ci mettono niente a dire: “Brutto negro di merda”.

A Venezia sei stato anche protagonista del film prodotto da Pierfrancesco Favino, Senza Nessuna Pietà.

Un anno e mezzo fa, con Pierfrancesco e altri attori eravamo al MoMA di New York per una serata dedicata a Pasolini. Dovevano venirci a prendere con un pulmino e portarci ad una cena. C’era un po’ di traffico e davanti al pulmino c’era un tassista che non voleva proprio togliersi. Ad un certo punto mi sono innervosito, sono sceso dalla macchina e ho cominciato ad urlargli conto. Favino ha visto in me una violenza tale che sarei stato perfetto per il suo film.

Ma c’è spazio ancora per la pietà in questo mondo?

Non c’è pietà. Sono tutti spietati. A Roma si dice: “Ho magnato io, hanno magnato tutti”, come per dire sto bene io, stanno bene tutti e sarà sempre peggio. Forse io sono strano ma non voglio cambiare. Mi adeguo, ma rapportarmi con gli altri è uno sforzo continuo.

Originariamente pubblicato su Il Giornale OFF

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