i film che più ho amato nel 2019

Bentrovati su Rose Gazette!

Volevo concludere questo 2019 condividendo con voi alcuni dei film che quest’anno mi hanno fatto battere il cuore. Rispetto agli anni scorsi ho visto meno film, anche perché non ho partecipato ai miei amati festival del cinema che danno la possibilità di una full immersion di 7-10 giorni in cui si viaggia solitamente ad una media di 3 film al giorno. Per cui quest’anno sono ferma a quota 125 e ho ancora da recuperare molti film segnalati dai miei colleghi, tra tutti Parasite, vincitore della Palma d’Oro e The Irishman di Martin Scorsese.

Prima di entrare nel vivo ci tengo a fare due precisazioni: 1) presenterò i film in ordine alfabetico e non di gradimento perché quando si tratta di arte detesto le classifiche; 2) tra i film non sono presenti solo quelli usciti nel 2019 ma tutto ciò che mi è capitato o che ho scelto di vedere nel corso dell’anno che sta per finire.

Veniamo a noi. Partite dal presupposto che non considero nessuno di questi film un capolavoro, fatta eccezione per i tre classici che ho recuperato quest’anno e che vi segnalo: La Grande Guerra di Mario Monicelli (che reputo insieme a La Grande Illusione di Jean Renoir e Orizzonti di gloria tra i più bei film che siano mai stati realizzati sulla Prima Guerra Mondiale) e Nazarin e Viridiana di Luis Buñuel che quest’anno mi è tornata voglia di incontrare dopo aver letto la sua splendida autobiografia Mi ultimo suspiro che consiglio a tutti i cinefili e non.

Tra i film italiani quelli che ho amato di più sono, su tutti, Il Traditore di Marco Bellocchio su Tommaso Buscetta interpretato da un Pierfrancesco Favino in stato di grazia; il trittico su Napoli da formato La Paranza dei Bambini di Claudio Giovannesi – adattamento dell’omonimo romanzo di Roberto Saviano; L’Immortale – brillante esordio alla regia di Marco D’Amore (ne ho scritto qui su Wired); Selfie di Agostino Ferrente, un esperimento che segue il percorso già tracciato nel precedente documentario Le cose belle che mi aveva rubato il cuore. Rimanendo in tema documentari quello italiano più bello dell’anno è Santiago, Italia di Nanni Moretti che racconta un’Italia accogliente e solidale che vorremmo tanto tornasse a prevalere su quella ostile e razzista che sembra avere la meglio oggi. Non ho amato Martin Eden pur essendo una grandissima fan di Luca Marinelli, ho però avuto la fortuna di ammirare tutto il suo talento in Ricordi? di Valerio Mieli, tra i film più romantici e poetici dell’anno.

Per i più sentimentali consiglio i film che ho trovato più toccanti ovvero Cafarnao di Nadine Labaki, film ambientato in Libano che rivolge lo sguardo verso una realtà dove viene negato il diritto all’infanzia (il bambino protagonista è da premio Oscar, peccato non rientri nella categoria). Altro film legato alle dinamiche famigliari è L’affido, una storia di violenza domestica da far tremare le vene e i polsi raccontata anche in questo caso attraverso il punto di vista di un minore. Conclude questa tranche dedicata ai film famigliari Marriage Story del mio adorato Noah Baumbach. Avevo letto splendide recensioni da Venezia e attendevo con trepidazione il momento in cui l’avrei visto. Scarlett Johansson e Adam Driver impeccabili. Non ha deluso le mie aspettative.

Dalla Spagna arrivano due film he apprezzato particolarmente Dolor y Gloria del grande Pedro Almodovar, il suo testamento artistico caratterizzato da noti più dolenti, una carezzevole malinconia e un Antonio Banderas mai visto prima. De Il Regno, potente pellicola politica vi ho già scritto sul blog in questo articolo di cui vi lascio il link. Consigliatissimo.

Anche dalla Francia un anno di belle soddisfazioni. La prima proviene da L’uomo fedele, un film certamente minore, ma di cui ho apprezzato la sensibilità autoriale di Louis Garrel, sex symbol per eccellenza del cinema francese che si sta dimostrando anche valido regista. Non solo i sentimenti amorosi e i dubbi esistenziali ai quali ci hanno abituato i suoi film e quelli del padre Philippe ma anche un sorprendente sguardo paterno. Commovente. Se siete invece alla ricerca di una commedia intelligente vi consiglio Le invisibili, dedicato ai senzatetto e a tutte quelle persone che, contrariamente a quanto fa la maggioranza di noi, invece tutto il proprio tempo nel tentativo di rendergli la vita migliore. Ma il film francese più bello dell’anno è sembra ogni ombra di dubbio Grazie a Dio di François Ozon. Ispirato ad una storia vera, l’enfant terrible del cinema d’oltralpe ha dato qualche grattacapo al Vaticano. Qui trovate la mia intervista. Credo sia il suo miglior film nonostante sia uno dei registi più prolifici in circolazione. Se vi va di fare pace con il Pontefice dopo questo film date una chance a I Due Papi del brasiliano Fernando Meirelles. È un po’ ruffiano ma le sole performance di Jonathan Pryce e Anthony Hopkins rispettivamente nei panni di Papa Francesco e Papa Benedetto XVI meritano il passaggio su Netflix.

E’ invece americano il film che ha colpito me, come tantissimi altri spettatori di tutto il mondo. Mi riferisco a Joker, un manifesto sconvolgente dei nostri tempi. Mi auguro che con quest’opera Joaquin Phoenix riesce finalmente ad aggiudicarsi la statuetta dato che parliamo di uno dei più grandi attori viventi. Non gli avrei dato il Leone d’Oro ma lo promuovo a pieni voti. Vi segnalo però anche Una giusta causa, più che per meriti cinematografici per la storia che racconta e che molto probabilmente anche molti di voi non conoscono. La protagonista è la giudice Ruth Bader Ginsburg, una donna che ha fatto lo storia. Chiudo con una carrellata di suggerimenti legati a film certamente imperfetti ma che hanno il pregio di concentrarsi con sincerità e amorevolezza sulle storie di ragazzi interrotti o semplicemente alla ricerca della loro identità. I miei complimenti vanno a XXY, film del 2007, esordio alla regia dell’argentina Lucía Puenzo (con il mio amato Ricardo  Darín) e a Erased Boy di Joel Edgerton e Beautiful Boy di Felix Van Groeningen che vedono protagonisti due dei più grandi talenti del cinema contemporaneo: Lucas Hedges (già bravissimo in Manchester by the sea) e soprattutto Timothée Chalamet (lanciatissimo dopo il ruolo di Elio in Chiamami col tuo nome di Luca Guadagnino). Mi spiace Woody per te quest’anno con c’è spazio, mentre per Clint Eastwood e il suo The Mule ancora una volta applausi a scena aperta.

P.S. Una nota di merito spetta all’esordio alla regia di quello scapestrato di Jonah Hill con mid90s. Well done bro!

UN LIBRO IMPERDIBILE: MILKMAN DI ANNA BURNS

Il 20 settembre è arrivato nelle nostre librerie (grazie a Keller Editore) un romanzo da capogiro. Milkman è il vincitore del Man Booker Prize 2018, uno dei più prestigiosi riconoscimenti letterari a livello mondiale. Anna Burns è la prima scrittrice irlandese ad aggiudicarselo.

In un mondo editoriale sempre più conformista è raro trovarsi di fronte ad un romanzo del genere, giustamente premiato per la sua unicità e il coraggio della sua autrice. 

Cosa lo rende così speciale? Tanto per cominciare i protagonisti e l’ambientazione di questo romanzo non hanno nomi. Dagli accadimenti descritti intuiamo che potremmo trovarci nella Belfast degli anni 70 in pieno conflitto nordirlandese. 

La protagonista di questo peculiare stream of consciousness è una ragazza di 18 anni. Di lei sappiamo che ama i libri: Charles Dickens, Laurence Sterne e Gustave Flaubert vengono citati a più riprese. Li legge mentre cammina e, anche solo per questo motivo, è guardata con diffidenza dalla piccola comunità della cittadina da cui proviene. 

Si rincorre la voce che potrebbe avere una relazione con un uomo più grande, il Milkman del titolo, un uomo ambiguo e pericoloso che in realtà la corteggia fino a molestarla, la confonde e la spaventa. E potrebbe allontanare il suo “forse fidanzato”, a cui lei sembra affezionata pur non avendo gli strumenti per dimostrarlo. 

Di più di questo romanzo sconvolgente, complesso e straordinariamente divertente non voglio raccontarvi. Ma per gli amanti della letteratura, in particolare di William Faulkner, Virginia Woolf e James Joyce, correre in libreria ad acquistarlo è un dovere. 

Non tutti i critici sono stati generosi con Anna Burns. Subito dopo la vittoria del Booker Prize ho letto recensioni volte a sottolineare l’estrema complessità di questo libro, che avrebbe scoraggiato persino ai lettori più audaci. I più accaniti si sono perfino addentrati in una polemica sulle condizioni economiche dell’autrice che, durante la scrittura del romanzo, si sarebbe avvalsa dell’aiuto dei servizi sociali. E ovviamente non è stato facile neanche trovare un editore. Ma lo sapete, per noi donne è sempre tutto più difficile. 

Io l’ho letto in lingua originale e dal mio punto di vista questo libro è un trionfo.  In una società in cui il valore del lavoro artistico è ridotto ai minimi termini ritengo una vera conquista che Anna Burns abbia ricevuto un sostegno dallo Stato. 

Il risultato non è solo considerevole ma rivoluzionario. Milkman è un romanzo che non ha eguali, con una voce unica, estremamente attuale, capace di evocare i disagi e le tensioni che caratterizzano la società contemporanea, dalle costrizioni sociali al terrorismo, dalle molestie sessuali a quei contrasti ancestrali che non c’è modo di risolvere. 

Ma non è il conflitto politico ad interessare maggiore l’autrice, volta piuttosto a prendere di mira l’oppressione dovuta al patriarcato, al conformismo, alla religione e al sessismo tossico. Il risultato è una vita votata alla sfiducia e alla paura. Nonostante lo stile quasi surreale della Burns in questo libro tutto ha il sapore famigliare della realtà. 

La giovane protagonista di Milkman merita la nostra attenzione, come molti di noi vorrebbe evadere dal presente al quale tenta di sopravvivere con tutte le sue forze. Buona lettura a tutti!

MA QUANTO CI ASSOMIGLIA LA SPAGNA?

Dopo ore di maratona Mentana, consultazioni, scambi di poltrone e “inciuci” vari in Italia è nato un nuovo governo. Un altro Paese che sta affrontando la stessa situazione di incertezza che ha vissuto l’Italia fino a qualche giorno fa è la Spagna. 

Oggi il Re Felipe VI incontrerà i leader dei partiti di maggioranza, su tutti il presidente in funzione, Pedro Sanchez, leader del PSOE, e Pablo Iglesias, segretario di Unidad Podemos. Dopo un lunghissimo tira e molla i due potrebbero trovare un accordo per un governo di coalizione ma non è detta l’ultima parola.

Se così non dovesse essere gli spagnoli tornerebbero alle urne per la quarta volta in quattro anni. Un’instabilità politica che accomuna i nostri due Paesi ma mentre noi italiani siamo sempre ad un passo dalla recessione e la nostra crescita raggiunge a stento l’1% annuale, negli ultimi cinque anni la Spagna ha registrato una crescita economica da record.

Dopo una fase particolarmente critica, tra il 2007 e il 2014, con quasi 4 milioni di posti di lavoro persi, un significativo calo del salario e il collasso del settore edile, la Spagna ha cominciato a riprendersi. Un fattore piuttosto inspiegabile se consideriamo le tensioni dovute alla “minaccia” indipendentista e il tasso di disoccupazione che è tuttora il più alto in Europa.

Secondo gli esperti la crescita sarebbe dovuta al fatto che la Spagna faccia meno leva sull’esportazione rispetto all’Italia e alla Germania e che abbia puntata sul settore bancario e  domanda interna che, dopo anni disperati, non poteva che tornare a crescere. 

Sempre gli economisti sono convinti che questa avanzata ha un termine e che sarà proprio questa costante instabilità politica ad influire maggiormente sui conti spagnoli. 

Mi dispiace davvero che in Italia trapelino sempre meno informazioni su un Paese a noi così tanto affine e vicino, non solo in termini geografici. Grazie allo studio dello spagnola ho avuto modo di ascoltare in lingua originale il dibattito parlamentare e, sebbene non scadente quanto il nostro, ho ravvisato moltissime somiglianze tra le argomentazioni i nostri e i loro deputati.

Tanto per cominciare il PSOE e Ciudadanos si sono accusati per giorni di pensare solo alle poltrone. Vi ricorda qualcuno? Dopodiché Pedro Sanchez ha provato a riavvicinarsi ai suoi avversari con un programma contenente ben 370 proposte. Sì, avete capito bene. Altro che i 5 punti di Nicola Zingaretti, i 12 poi divenuti 20 di Luigi Di Maio. 

Proprio in queste ore il Re (nel nostro caso il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella) ha avviato le consultazioni per capire se è ancora possibile trovare una maggioranza parlamentare o se scogliere le camere e indire nuove elezioni. In serata dovremmo conoscere le sorti del governo spagnolo. Se vi interessa potete trovare costanti aggiornamenti sul sito del principale quotidiano El Pais (https://elpais.com/), sul loro canale You Tube seguire live le dichiarazioni dei protagonisti. 

Io però non ho studiato né economia né politica e quindi mi fa piacere suggerirvi due libri e un film che possono aiutarvi a comprendere le dinamiche che regolano la politica e la società spagnola.

Il primo è Patria di Fernando Aramburu. Ne avrete sentito parlare: è un romanzo del 2016, ha avuto moltissimo successo a livello internazionale e conquistato molti premi.

Nel 1959 in Spagna nacque l’ETA,  un’organizzazione armata di matrice terroristica nata con lo scopo di ottenere l’indipendenza del popolo basco e ispirata alla politica marxista-leninista. Se vi interessa approfondire sappiate che il granissimo Gillo Pontecorvo nel 1979 dedicò un film, Ogro, all’uccisione dell’ammiraglio Carrero Blanco, proprio ad opera dei terroristi dell’ETA. Uno dei protagonisti è Gian Maria Volonté, quindi se non l’avete visto correte ai ripari. 

Il libro di Aramburu attraversa tanti anni di quella storia e ci racconta la vicenda di alcune famiglie, la cui vita si incontra e scontra con quella dei terroristi dell’ETA. Un romanzo di grande valore dedicato alle vittime tanto quanto ai carnefici che basa la sua forza sui sentimenti che hanno animato la lotta dell’ETA, su ideali e sul fanatismo, sull’incomprensibilità della violenza e l’universalità dell’amore. Un pezzo di storia, solo in parte paragonabile a ciò che avvenne in Italia con le Brigate Rosse, che finalmente la letteratura spagnola trova il coraggio di affrontare. Vivamente consigliato.

Per tornare al presente vi indirizzo fortemente all’acquisto del nuovo romanzo di Manuel Vilas, In tutto c’è stata bellezza. Un memoir atipico, malinconico, coraggioso e spietato in cui emergono tutte le criticità del suo paese natio. Vilas critica apertamente la società spagnola, il trionfo dell’individualismo, insofferente (da ex professore) ad un sistema scolastico reprimente e stantio, la disuguaglianza di genere (la “la schiavitù delle donne”). Queste considerazioni di alternano a profonde riflessioni sulla vita, sulla perdita, sui rimpianti e sull’amore, che rendono questo libro una vera pietra miliare. Imperdibile.

Dovreste trovare ancora in qualche sala il film Il Regno. Impegnatevi a recuperarlo. Se siete curiosi di sapere come è percepita la classe dirigente in Spagna guardare questo film è il modo giusto per scoprirlo. La precisione della scrittura di Rodrigo Sorogoyen e della sua regia incalzante, insieme alla bravura dell’attore protagonista Antonio de la Torre lo rendono un vero gioiellino. Il film giusto per avventurarsi nei meandri di un labirinto fatto di corruzione, avidità e ossessione e chiedersi da che parte stare.

Leggendo questi libri e guardando questi film vi renderete conto anche voi delle tante somiglianze tra la nostra politica e quella spagnola. In questi ultimi anni mi sono sembrati migliori nella loro rappresentazione artistica. Voi che ne pensate? 

ROSA MAIUCCARO